Vittime e carnefici
ne “L’ultima Cena”
di Riccardo Lanzarone

Ad inaugurare la riapertura della rassegna “Altrescene” al Centro Zo il secondo capitolo della “Trilogia dell’attesa”, uno spettacolo immaginifico che catapulta il pubblico in un grottesco mondo dove la giustizia assume contorni spaventosi

«Quali genitori hanno la predisposizione a divorare i loro figli?» Conigli, aquile, criceti o umani? Un’indagine lampo, tragicamente reale e crudele, quella subita dal protagonista dello spettacolo L’ultima Cena, secondo capitolo de “La trilogia dell’attesa”, andato in scena sabato 26 gennaio al centro Zo di Catania e con il quale è ripartita “Altrescene”, la rassegna dedicata alle arti contemporanee.

VIOLENZA. Scetticismo nei confronti della giustizia, violenza psicologica e pedofilia i temi affrontati. Silenzio, poi il chiaroscuro e lo spettatore viene catapultato in un luogo asettico, la cella di un penitenziario privato in un futuro non lontano dal nostro, il 2027, nel quale è lecito farsi giustizia da soli. Un quadro grottesco si presenta agli occhi di chi osserva: un uomo bendato con addosso il “Traje de Luces” (la divisa del torero) è inginocchio davanti alla sua carceriera, una donna mascherata. Condannato a morte con l’accusa di abuso sessuale, nell’attesa che si compia il suo destino, è costretto a fare i conti con i suoi traumi infantili attraverso un macabro quiz televisivo alla “Chi vuol essere milionario?”, in palio la morte o la salvezza. Riccardo Lanzarone, regista e autore dello spettacolo, è l’oscura vittima del «Progetto ultima cena», il cui fine è eliminare i presunti colpevoli di un reato in meno di un giorno, non servono prove, basta pagare. Come nella serie fantascientifica Black Mirror nella quale le invenzioni si scontrano con i tetri istinti umani, in modo analogo nella pièce L’ultima Cena, Lanzarone si commisura con uno schermo da cui appare il beffardo direttore del carcere (interpretato da Michele Sinisi) dalle parole incisive e battenti.

RICERCA. Un atto unico, il cui stesso titolo allude al tradimento più noto della storia. Non mancano difatti le citazioni bibliche, delle quali il protagonista si serve per prendere coscienza del suo tormento e scacciarlo. Un copione e una recitazione ineccepibile quella di Lanzarone, capace di rievocare il senso di inadeguatezza e il sentimento di nullità di chi è vittima e al contempo testimone di una violenza. I dialoghi ben strutturati s’intrecciano perfettamente con le musiche di Giorgio Distante, la cui tromba elettroacustica dal vivo amplifica l’atmosfera di cupezza e afflizione; inoltre, la quasi totale assenza di scenografia marca la condizione d’isolamento del carcerato. Abile nel coinvolgere il pubblico con la sua presenza scenica decisa, Chiara Muscato. Eppure, quando lo spettacolo finisce si ha l’impressione che manchi qualcosa, come se qualche dettaglio fosse stato lasciato al caso, ma forse è proprio questo l’obiettivo: stimolarci a riflettere sulla complessa realtà sociale in cui viviamo, mostrandoci le conseguenze di un mondo privato dai valori assoluti, senza dimenticare l’intensità del messaggio conclusivo, ovvero, «che la paura di essere puniti opprima la follia e la rabbia dell’uomo».

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