Fiumi in secca e piante in sofferenza: questa estate probabilmente ce la ricorderemo come la prima in cui il cambiamento climatico ha fatto quotidianamente notizia. Dopo mesi all’insegna dell’emergenza idrica, settembre volge il nostro pensiero al settore vitivinicolo, da sempre espressione di eccellenze made in Italy. La domanda che preoccupa è: nell’Antropocene – questa nuova era geologica determinata dall’attività umana – c’è abbastanza acqua per un calice di buon vino? Stando ai primi dati, in Sicilia i vigneti registrano un calo della produzione del 5-10% rispetto all’annata precedente, flessione che, tuttavia, non inficia salute e qualità delle uve. Come stanno reagendo i vigneti etnei? Lo abbiamo chiesto ad alcune cantine alle pendici del Vulcano e al consorzio tutela vini Etna DOC.

LA VOCE DELLE CANTINE. «I nostri terreni – parla Graziano di Cantine Nicosia – sono ricchi di pomice per cui conservano bene l’acqua arrivata in inverno. Come sarà la vendemmia? Un po’ presto per dirlo ma sono quasi certo che la siccità porterà a un anticipo di quasi due settimane». E se pensassimo di risolvere la siccità puntando sull’irrigazione, da Terra Costantino precisano che non è possibile: «Qui sull’Etna non puoi irrigare, puoi sperare che piova. E lavorare la vigna in modo da costringerla ad andare sempre più in profondità per attingere acqua». D’accordo Federica di Gambino Vini, secondo la quale i vigneti più datati di cui il territorio è particolarmente ricco costituiscono un’ulteriore linea di difesa contro la scarsità d’acqua: «Quelli più giovani soffrono di più perché, avendo apparati radicali in superficie, fanno fatica a raggiungere l’acqua. Noi abbiamo vigneti degli anni ’80, con un apparato radicale profondo». E aggiunge: «A rischio è la quantità non la qualità che rimane alta perché l’uva esprime bene la buona concentrazione polifenolica. Noi, tra l’altro, ci troviamo sul versante Est che è più piovoso. È vero – confessa – che l’acidità si è abbassata e i vigneti hanno perso longevità ma nel breve termine nulla di preoccupante». A questo accorato appello alla speranza (e alla pioggia) si unisce Tenute Mannino di Plachi: «Almeno per quanto riguarda il vino siamo speranzosi: rispetto ad altre colture, la nostra vigna tollera meglio la siccità».

LA VOCE DI ETNA DOC. Da queste testimonianze emerge che se il settore vitivinicolo etneo resiste non è un caso: le ragioni sono da ricercare nel microclima e nelle peculiarità del terroir dell’Etna, unicum di ricchezze e bellezze. La pensa così Francesco Cambria, presidente del consorzio tutela vini Etna DOC e titolare di Cottanera sul versante Nord. «Nonostante in tutta Italia le precipitazioni siano state scarse, sull’Etna in primavera e in inverno ha piovuto parecchio, con nevicate fino a marzo e presenza di neve fino ad aprile: i nostri terreni, quindi, non hanno risentito della privazione di piogge estive come in altre zone della Sicilia e del Paese». Nessuno stress idrico, dunque, per le viti etnee: «I vigneti della mia azienda – aggiunge Cambria – non hanno neanche foglie basali gialle che sarebbero segno di sofferenza. Il Vulcano conferma la sua forte vocazione enologica, merito della composizione chimico-fisica del suolo e delle altitudini delle vigne». Il quadro che ci offre Cambria è rassicurante. «La produzione del 2022 è quantitativamente in linea con quella degli anni passati. Per quanto riguarda la qualità è ancora presto per giudizi definitivi, considerando che il Carricante si raccoglie dalla seconda metà di settembre e il Nerello a ottobre, ma ci sono buone premesse». E in merito alle previsioni sull’anticipo della vendemmia commenta: «Probabilmente inizierà 7-10 giorni prima del previsto, ma non è scontato se continuerà a piovere. In agricoltura in poco tempo può succedere di tutto». Il 2022, anno di una nuova terribile guerra in Europa, anno dell’ennesima caduta di governo in Italia, sarà almeno per il vino etneo un’ottima annata.

BENE MA NON BENISSIMO. Insomma: tutto bene ai piedi del vulcano attivo più alto d’Europa. Ma sarà sempre così? Secondo alcuni studiosi, nel corso di questo secolo la temperatura dell’aria superficiale potrebbe crescere di altri 2-5 °C (Il pianeta umano, Einaudi 2019). «Che sia in corso un cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti – chiosa Cambria –. Magari in futuro si sceglierà una varietà precoce che, rispetto a una tardiva, subisce meno l’aumento termico. Forse, a parte le irrigazioni di soccorso, si pianterà a quote più alte, con temperature più fresche, escursioni termiche più importanti e maturazioni più graduate». Le stime sul global change devono spingerci a guardare oltre l’entusiasmo del presente: il futuro sembra lontano ma non lo è. Non sarebbe veramente triste portare il nostro pianeta al punto da fare a meno delle meraviglie che la nostra casa può offrire? Un brindisi all’annata 2022 e a tutte quelle che faremo in modo che verranno.

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