“Avanti Veloce”:
il teatro combatte
lo sconforto in 5 tappe

«Ma chi ci ha mai pensato al teatro? Ma senza pubblico a che serve? Che alternativa vedi per il teatro?». Ecco alcuni degli interrogativi che si sono posti i cinque drammaturghi siciliani coinvolti nel progetto ideato e diretto da Silvio Laviano, con il prezioso contributo della videomaker Giovanna Mangiù. L’attore e regista catanese ci racconta come “Avanti Veloce” nasca dall’esigenza di confrontarsi con gli spettatori e con i colleghi del settore sulla necessità del teatro. «Il teatro è un luogo sicuro e va avanti veloce attraverso tutti i mezzi. Tornate a teatro. Oggi lo raccontiamo tramite un video con la speranza di rivederci presto in sala». Con queste parole, Laviano ci guida per mano attraverso le cinque tappe di un percorso tutto da scoprire.

Rosario Palazzolo: «Per il teatro io sono disposto a fallire, a considerare che il mio contributo sia socialmente inutile»

PRIMA TAPPA: “A ME STESSO”. Il ballatoio ospita il monologo interpretato da Silvio Laviano. L’incipit “Cosa saresti disposto a fare, tu, per il teatro?” risuona più e più volte fino quasi a diventare provocatorio e stringente. Oggi più che mai quest’interrogativo diventa pregnante per l’autore del testo, Rosario Palazzolo, che ci rivela: «Per il teatro io sono disposto a fallire, a considerare che il mio contributo sia socialmente inutile. La volontà di immaginare ancora un pubblico che abbia voglia di entrare in relazione e/o contestazione con il lavoro che va a vedere è pressoché rara». Che cosa fare dunque? Come proteggere l’integrità artistica? Palazzolo non indietreggia né scende a compromessi: «Il fallimento credo che sia l’unica vera alternativa. Piuttosto che cedere il passo al commerciale e al mainstream, preferisco pensare che il fallimento della comunicazione teatrale resti comunque un atto dignitoso e sincero».

Rosario Lisma: «Noi, come essere umani, abbiamo un disperato bisogno di riflettere. Il ritorno al teatro e l’entusiasta affluenza degli spettatori mi hanno fatto capire quella che è stata la grande mancanza»

SECONDA TAPPA: “LO SPECCHIO”. Dà voce al secondo frammento intitolato “Lo Specchio” una maschera teatrale (Barbara Giordano) che finalmente riprende a lavorare dopo un periodo di chiusura del teatro. La pièce si interroga sul valore della riflessione e su come questa sia indispensabile anche in un tempo di stasi. Rosario Lisma, autore del testo, parte dal presupposto che il teatro sia espressione dell’intera comunità, intesa come collettivo e come individui: «Il teatro, proprio come gli specchi, riflette e fa riflettere. Ma non solo, lo specchio serve anche per capire come stiamo: se noi togliessimo gli specchi dalle nostre case vivremmo lo stesso, mangeremmo, dormiremmo, faremmo l’amore. Eppure non sarebbe la stessa cosa. Noi, come esseri umani, abbiamo un disperato bisogno di riflettere. Il ritorno al teatro e l’entusiasta affluenza degli spettatori mi hanno fatto capire quella che è stata la grande mancanza». L’augurio è dunque quello di poter tornare a specchiarsi nei personaggi, per non smettere di immaginare e di incontrare le nostre proiezioni sullo specchio.

Luana Rondinelli: ««Abbiamo bisogno di trasmetterci delle cose, di un contatto tra gli uni e gli altri»

TERZA TAPPA: “MÀTTULA-UN BATUFFOLO DI POLVERE A TEATRO”. L’ambiente fantastico e il personaggio di Màttula – termine che in dialetto palermitano starebbe a indicare il cotone – animano il terzo pezzo, scritto da Luana Rondinelli e interpretato da Alessandra Barbagallo. Il batuffolo di polvere abita il magazzino del teatro in cui sono stipati costumi e oggetti di scena. Gli spettacoli vengono annullati, eppure Màttula non si scoraggia, aspettando il momento in cui la sala tornerà gremita di spettatori. L’autrice dichiara: «Abbiamo bisogno di trasmetterci delle cose, di un contatto tra gli uni e gli altri. Il testo racconta una storia d’amore tra Màttula e i tanti spettacoli che ha visto, e di come ha imparato a conoscere il mondo». Del teatro nessuno può farne a meno, neanche un batuffolo di polvere che attende con nostalgia il giorno in cui gli attori torneranno di nuovo a toccare le tavole di legno del palcoscenico.

Tino Caspanello: «Spero che si possa ritornare nel modo più autentico al contatto con gli altri. Il teatro è l’unico rito civile che ci resta. Vogliamo toglierci anche questo?»

QUARTA TAPPA: “BUIO”. Una donna (Egle Doria) fugge dai suoi traumi e dalle sue paure, ignara di ciò che le accadrà da lì a poco. Si ritrova in un teatro, in cui scorge solo buio, vuoto e silenzio. Costretta in questa dimensione, trova la luce. L’inquietudine che trapela dal monologo, scritto da Tino Caspanello, rispecchia a pieno la società contemporanea, che lavora continuamente sulla rimozione di pezzi di coscienza fin quando non s’innesca un cortocircuito. “Buio” vuole essere un invito a perdere il senso delle coordinate spazio-temporali per ritrovare un barlume di fragilità umana. Come chiarisce l’autore: «Il lavoro della parola a teatro è essenziale, perché la parola definisce, seziona, taglia, ricostruisce, ridimensiona. Non sappiamo quanto il teatro possa essere utile in un mondo ammalato e decentrato. Spero che si possa ritornare nel modo più autentico al contatto con gli altri. Il teatro è l’unico rito civile che ci resta. Vogliamo toglierci anche questo?».

Lina Prosa: «Il messaggero è l’elemento tragico della nostra contemporaneità»

QUINTA TAPPA: “LE SETTE FORATURE”. Ci troviamo alla fine del viaggio. Il ciclista/messaggero, impersonato da Giovanni Arezzo, giunge sino alle porte del teatro, che trova sbarrate. Dopo aver superato sette forature, metafora delle avversità, il giovane si trova paralizzato nella sua inutilità. Tenta invano di farsi sentire, ma nessuno lo ascolta. Come spiega l’autrice del testo, Lina Prosa: «Il messaggero è proprio l’elemento tragico della nostra contemporaneità. Egli perde la sua funzione poiché la notizia non giunge e la tragedia non comincia. Ecco la vera tragedia, lo spettacolo non può avvenire».

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