Marc Bloch veniva ucciso nel 1944 lasciando ai posteri un’opera incompiuta a cui proprio negli ultimi anni si era dedicato. Pubblicata postuma, il suo contributo riecheggia in ogni disciplina e viene a ricordarci il come e il perché della viralità della menzogna

Oggi è allarme fake news. Nell’era di “Lercio” in cui la realtà è spesso così assurda da sembrare satira, la satira non raramente viene scambiata per realtà. Come con quel nostro amico che non riusciamo mai a capire se scherza o dice sul serio, così aprendo un link restiamo in bilico fra la piena fiducia e la totale sfiducia circa i suoi contenuti. La lotta alla menzogna è antica quanto quella per la verità: già rivendicata da Tucidide, è soprattutto una delle battaglie di Marc Bloch, il rivoluzionario storico francese fucilato nel 1944 dalla Gestapo, che, in Apologia della storia o Mestiere di storico, descrive il cultore della scienza storica come un cacciatore di dati che ha fiuto per la vita umana. Non sono le stesse qualità del giornalista? Ecco perché «uno spassionato studio sulle pratiche del reportage sarebbe forse più che ogni altro indispensabile alla pratica della storia contemporanea», secondo il fondatore degli Analles. «Sventuratamente, il giornale non ha ancora trovato il suo Mabillon o il suo Papenbroeck»: un modo per dire che non ha ancora fatto della critica un metodo costante di indagine. Cosa spingeva Bloch a pensare questo nella prima metà del ‘900? E cosa può dirci sull’attuale diffusione di false notizie?

SOCIETÁ E FAKE NEWS: QUALE LEGAME? «Molte case belghe presentano sulla facciata delle strette aperture destinate a facilitare agli imbianchini l’impianto delle loro impalcature; in questi innocenti artifici di muratori, i soldati tedeschi, nel 1914, non si sarebbero mai sognati di vedere altrettante feritoie, preparate per i franchi tiratori, se la loro immagine non fosse stata ossessionata da gran tempo dal timore della guerriglia». Chiamato alle armi in entrambe le guerre, aveva vissuto in prima persona quanti inganni possa generare un clima di tensione. «Ecco perché essi acquistano sovente, a loro volta, al pari della menzogna, un valore documentario; diventano «come lo specchio in cui la coscienza collettiva contempla i propri lineamenti». Una società paranoica produce notizie paranoiche. Il rischio allora è di cadere negli estremismi: o creduloni o diffidenti. Aggiunge infatti lo storico: «Non si credeva ai giornali; e nemmeno alle lettere; giacché oltre ad arrivare irregolarmente, avevano fama di essere molto controllate».

REFUSI “CAPITALI”. Se i danni nella storiografia antica e medievale sono stati notati, «nella nostra stampa la loro incidenza non è forse granché minore», scrive lo storico francese. «Quando, nel 1917, fu condannata la spia Bolo, un quotidiano pubblicò fin dal 6 aprile, si dice, la cronaca dell’esecuzione. Essa, in effetti, fissata, in un primo tempo, per quella data, non avvenne realmente se non undici giorni dopo. Il giornalista aveva steso il suo “pezzo” in anticipo; convinto che il fatto sarebbe accaduto nel giorno previsto, ritenne inutile verificare»: l’esempio ci fa capire quanto siano facili gravi sviste. Non capita certo tutti i giorni, «ma che, allo scopo di fare più presto – poiché bisognava, prima di tutto, chiudere in tempo l’edizione – le cronache di scene attese vengano talvolta preparate prima del tempo, l’ipotesi non presenta nulla di inverosimile». L’aneddoto ci insegna a fare attenzione con la storia: non si può dimenticare e neanche anticipare. Quanti giornalisti ne hanno fatto esperienza?

NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE? Non proprio. I social hanno contribuito a rendere anche la comunicazione streaming: neanche il tempo di riflettere su un contenuto (visivo, uditivo o scritto che sia) che è già virale. Non a caso si usa un termine medico: le infezioni da fake news possono essere letali. Non sembrano pochi gli italiani preoccupati del ruolo che la disinformazione possa avere nelle elezioni europee di maggio. Se dei clic possono influenzare il voto politico e la politica decide della nostra e dell’altrui libertà, pensa prima di cliccare, resta un attimo soltanto, un attimo di più, con la testa fra le mani. Così per il celebre medievista il metodo critico «cessa di essere semplicemente un utensile della conoscenza storica»: è «una delle vie che si aprono all’uomo per penetrare verso il vero, e perciò, vivere meglio. Quindi verifica date, dati e autori, incrocia fonti diverse e verifica i tuoi preconcetti: tutte mosse auspicate da Marc Bloch come dai giornalisti odierni.

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