Confesso che l’idea di scrivere un libro su Cesare Basile era balenata anche nella mia mente. Perché lo conosco, lo stimo (nonostante in gioventù abbiamo militato su fronti politici opposti) e lo seguo da quasi quarant’anni, e forse fui tra i primi a scrivere di lui quand’era un punk rocker nei Candida Lilith: quell’articolo l’ho rivisto incorniciato e attaccato alla parete all’ingresso dello studio Zen Arcade, il laboratorio dell’artista catanese. E poi perché, come nel caso di Alfio Antico, la storia di Cesare, le sue tante storie si prestano a essere raccontate, romanzate.

Quindi, quando ho saputo che qualcuno mi aveva anticipato, ho provato un po’ di delusione, ma ho anche tirato un sospiro di sollievo. Ci sarebbe stato un altro a svolgere lo sfibrante compito di raccogliere materiale, inseguire l’artista per strappargli notizie e mettere nero su bianco questa avventura umana e musicale. L’altro ha il nome di Raffaele M. Petrino che per l’Arcana ha pubblicato il libro Amore alzati che passa la Cummeddia di Cesare Basile, dove “cummeddia” si può interpretare nel suo significato dialettale, ovvero cometa, ma anche come aquilone, che vola libero e colorato nel cielo, oppure italianizzare in commedia. «Il titolo l’ho scelto perché volevo utilizzare un verso di Cesare e questo mi sembrava perfetto», spiega l’autore. «Aveva un suo ritmo e una sua poesia anche trasposto in italiano, e potevo tradurlo mantenendo in siciliano proprio quella parola che – come si dice per chi impara l’inglese – rappresentava un “false friend”, ovvero un termine che sembra suggerirne per similitudine un altro, ma che in realtà non costituisce il suo effettivo corrispettivo (Cummeddia=Commedia). Insomma, oltre a essere il termine su cui ruota l’ultimo disco di Basile, è anche una parola che può rendere la ricchezza linguistica del siciliano (questa attività di valorizzazione peraltro mi sembra essere uno dei migliori pregi, tra quelli extramusicali, dell’ultimo corso di Cesare)».

«La prima volta che incontrai Basile eravamo all’altezza di “Closet Meraviglia”: fu il cantante del gruppo in cui suonavo a passarmi il disco»

Il primo incontro di Petrino con Cesare Basile risale a quasi vent’anni fa. «Eravamo all’altezza di Closet Meraviglia: fu il cantante del gruppo in cui suonavo la chitarra elettrica a passarmi il disco e mi piacque tantissimo», ricorda l’autore, che dieci anni fa ha lasciato Catania per trasferirsi al Nord per motivi di lavoro. Una distanza che non gli impedisce di seguire le imprese del suo eroe. Neanche il lockdown l’ha fermato. Anzi, gli ha consentito di dare una accelerata al suo lavoro «per strappare a Cesare le varie notizie: u “mischineddu” era bloccato a casa e quindi… vai di grandi discussioni su Skype». Lunghe e interminabili chiacchierate: «Quanto parla Cesare! Avrei potuto pubblicare semplicemente le sue interviste sbobinate ed ero a posto!».

La copertina del volume

Invece no. Raffaele M. Petrino ricostruisce con precisione la parabola umana e artistica di Cesare Basile, inserendola nel contesto storico e sociale del tempo, nella storia della sua città e nella “catanesità”. Il racconto scorre, appassiona, ricco di particolari, ma senza quell’eccessiva e noiosa puntigliosità cronologica dei biografi. Una narrazione avvincente: momenti intimi, lati nascosti, amori travagliati, situazioni drammatiche (come quella vissuta all’ombra del Muro di Berlino) ma anche comiche s’innestano nelle mutazioni – Candida Lilith, Kim Squad, Quartered Shadows –, nelle peregrinazioni – Catania, Berlino, Roma, Milano –, nelle registrazioni di Basile. Esce fuori il ritratto di un anarchico che ha sempre inseguito la libertà, di pensiero, di espressione, di movimento. Che viaggia continuamente in direzione ostinata e contraria. Il ribelle che combatte il principio di autorità. L’artista pronto a rifiutare un Premio Tenco per la sua coerenza. Il pirata che rinnega il concetto di patria. Un artista fuori tempo e fuori del tempo, la cui storia musicale comincia nell’infanzia nella sala da barbiere del nonno, Cesare, come lui. E proprio nella piazzetta di fronte alla casa del nonno avviene l’incontro premonitore con Ciccio Busacca, il «cantatore ambulante di banditismi e “murder ballads”, trovatore dialettale, Cnn dei negri di Sicilia», che tira il freno a mano e sale sul tetto di una Fiat mezza scassata a cantare le sue cose. Perché si scopre che sì il punk, Tom Waits, Nick Cave, i bluesman del Delta hanno avuto un ruolo importante nella crescita musicale di Basile, ma i veri fari di questa evoluzione sono stati un cuntastorie, Busacca appunto, e un tamburellista di pizzica, il leggendario Uccio Aloisi, che strega il rocker etneo spettatore in una Notte della Taranta.

«Grazie a Busacca e Aloisi, Basile comincerà a osservare con lo scopo di raccontare ciò che vede. Da cantautore intimista, si trasforma in cantastorie»

Petrino individua nell’album Closet meraviglia il momento in cui i semi piantati da Busacca e Aloisi cominceranno lentamente a germogliare: «È lo schiudersi del bozzolo prima della trasformazione», scrive. Presto «la notte verrà abbandonata in favore di un sole accecante: quello che, vivendo in Sicilia, l’artista ha avuto da sempre sotto gli occhi. Lo sguardo smetterà di indagare oscuri anfratti interiori e comincerà a osservare, con lo scopo di raccontare ciò che vede. La via verso il blues gli suggerisce di portare tutto all’osso. Di asciugare il grasso. Da cantautore intimista, Cesare diventa cantastorie». Un cantastorie con l’anima punk.

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