Chi l’ha detto che i siciliani debbano combattere la mafia da soli? E se una mano d’aiuto potesse provenire invece da chi visita l’Isola per scoprirne le bellezze? Nel 2009 tre ragazzi palermitani hanno dato vita ad una realtà che promuove una forma di turismo responsabile che mira a sostenere le aziende del settore che si rifiutano di pagare il pizzo. Nasce così Addiopizzo Travel, come costola dell’associazione Addiopizzo – fondata a Palermo nel 2004 per contrastare il dilagare dei fenomeni di racket. Francesca Vannini, Edoardo Zaffuto e Dario Riccobono – che di Addiopizzo sono anche volontari – hanno mosso i primi passi mettendo su una rete composta da 100 tra B&B, ristoranti, Hotel, aziende agricole e agenzie di trasporti. Oggi, le realtà aderenti all’iniziativa sono più di 1200. Ne abbiamo parlato con  Francesca Vannini, co-fondatrice di Addiopizzo Travel e, da pochi giorni, anche presidente della cooperativa.

Come nasce l’iniziativa e cosa vi ha spinti a voler investire le vostre risorse in un progetto tanto nobile quanto complicato come questo?
«Quando abbiamo avviato il progetto siamo partiti dal desiderio di dare una risposta a una domanda che spesso viene posta dai turisti stranieri in Sicilia: “Come faccio a sapere che l’albergo che prenoto non paga il pizzo?”. Per farlo, abbiamo pensato che l’idea di turismo responsabile e sociale, con cui il mio collega Dario era entrato in contatto durante i suoi studi a Venezia, potesse essere un buon punto di partenza. Così abbiamo iniziato a pensare in modo più concreto al consumo critico antimafia, dando vita ad un progetto che ha pian pian preso forma fino a diventare a tutti gli effetti una cooperativa nel 2013 e poi una cooperativa sociale nel 2017, includendo altri tre soci».

Come si declina, dal punto di vista della scelta degli itinerari in Sicilia, il principio del turismo responsabile?
«Il nostro interesse è sempre mirato al rispetto dei territori e all’innovazione sociale: siamo partiti dalla tematica a noi più cara, quella dell’antiracket, per poi espandere la rete a tutte quelle imprese intenzionate a fare del bene e a spendersi per il proprio territorio. Difatti, sebbene gran parte del catalogo si incentri su Palermo e dintorni, con pacchetti quali Palermo no mafia, Palermo porto aperto, recentemente abbiamo incluso anche la Valle dei Templi, il Giardino della Kolymbethra e il Farm Cultural Park a Favara». 

Si dice spesso che una vera cultura antimafia non possa che partire dai giovani. Non è un caso che, a loro, voi dedichiate un’attenzione particolare.  
«Oltre ai numerosi servizi che offriamo come tour operator, organizziamo anche molti viaggi educativi rivolti agli studenti di scuole e università, provenienti anche dal Nord Italia. Quest’ultimo settore rappresenta il 70-80% del nostro fatturato. La Sicilia è una metà perfetta per i viaggi di istruzione, dato che non si può davvero comprendere la storia del nostro paese se non alla luce delle vicende, anche legate alla nascita della mafia, accadute tra ‘800 e ‘900. Così, all’interno dei nostri tour, portiamo le scolaresche a conoscere testimoni, vittime di mafia o i loro parenti. Utilizziamo lo storytelling, insomma, per avviare veri percorsi di cittadinanza attiva e legalità».

Lavorando su territori e strutture confiscate alla mafia avete mai subito ripercussioni o vi siete mai sentiti minacciati in qualche modo?
«AddioPizzo è nata in una fase storica in cui la criminalità organizzata tendeva a non dare peso alle organizzazioni sociali come questa, non le avvertivano come pericolo. E per questo non ha mai ricevuto alcuna minaccia. Chi invece ha rischiato molto sono gli imprenditori, specialmente quelli che prima venivano oppressi dal racket e che hanno denunciato. Oggi, per fortuna, non c’è più quella situazione di omertà che condannò a morte figure come Libero Grassi. A denunciare sono sempre più persone ed è proprio il loro numero che, in un certo senso, li protegge».

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