Datemi un’arancia
e vi costruirò un edificio:
l’idea di un ingegnere siciliano

«Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori» diceva De Andrè, per indicare come talvolta dagli scarti si possa dare nuova vita a qualcosa. È stata questa l’intuizione vincente avuta dall’ingegnere Matteo Vitale, dottorando in Ingegneria civile e Architettura dell’Università di Catania, che ha pensato bene di usare la buccia, i semi e la polpa rimasti dalla spremitura degli agrumi per realizzare pannelli autoportanti da impiegare nel mondo dell’edilizia, del design e dell’arredamento d’interni. «Insieme all’Università – ci spiega – abbiamo da poco depositato il brevetto per questo materiale che tanto nuovo non è visto che parliamo di arance, un prodotto che noi siciliani conosciamo bene essendo i primi produttori in Italia e i secondi in Europa, dopo la Spagna».

PUNTARE A SUD. Concluso il suo percorso di studio nei cinque anni previsti con una tesi sul recupero dei moduli di edilizia prefabbricata, il ventiseienne catanese da due anni porta avanti la sua ricerca grazie anche all’appoggio del professore Santi Maria Cascone, ordinario di Architettura tecnica al Dicar. «Quando durante l’esame per accedere al dottorato di ricerca ho esposto la mia idea – sottolinea Vitale – alcuni professori del Collegio docenti hanno mostrato inizialmente qualche perplessità, mentre il professore Cascone mi ha supportato sin da subito». Vitale è un esempio di “cervello itinerante”, è riuscito a mettere in pratica le sue idee nella città in cui si è formato, ottimizzando i prodotti che il territorio mette a disposizione senza per questo rinunciare a un confronto con altre realtà, soprattutto la Spagna dove ha trascorso un periodo di studi. «Questo progetto – evidenzia – nasce dalla consapevolezza del nostro territorio, dalle potenzialità che offre e dalla volontà di valorizzarlo, al fine di puntare sulla sostenibilità e sull’edilizia innovativa. Nell’ambito dei materiali non strutturali poi siamo abituati a usare principalmente il poliuretano, il polistirene, il polistirolo, quando essiccando il pastazzo è possibile ottenere un materiale naturale con buone prestazioni termiche e acustiche, perfetto per il settore edile e totalmente a km zero». Non solo, essendo esteticamente simile al sughero sarà possibile utilizzarlo anche nel campo della progettazione.

Matteo Vitale

ECOLOGIA E SALUTE. Le nuove generazioni sembrano avere una sensibilità particolare nei confronti della salvaguardia dell’ambiente, che in passato è mancata. «Il ciclo di vita di un prodotto – spiega il dottorando – va dalla produzione alla dismissione, ed è proprio a quest’ultimo passaggio che spesso non si pensa. Un prodotto naturale può essere riciclato senza impattare negativamente sull’ambiente cosa che purtroppo i prodotti commercialmente diffusi e derivanti dal petrolio fanno, sia nella fase realizzativa che in quella del trasporto ma specialmente in quella finale». Il materiale è inoltre auto-legante, quindi non ha bisogno di collanti chimici che rilasciano sostanze nocive per l’uomo come la formaldeide presente nelle colle per legno. «Si tratta di un prodotto naturale al 100% – evidenzia Vitale – al quale si possono eventualmente aggiungere biocidi, additivi biologici».

TENDENZE. Nel 2011 due docenti dell’Università degli studi di Palermo, Antonio De Vecchi e Antonino Valenza, realizzarono in laboratorio un pannello costruito interamente con le pale del fico d’India essiccate, impiegate di recente nella realizzazione di complementi d’arredo da parte di una impresa pugliese. L’utilizzo di quest’oro verde va oltre gli “agrimobili” venendo adoperato anche nella realizzazione di lampade e montature d’occhiali. «In tutto il mondo – prosegue – sono diversi i prodotti agricoli utilizzati a questo scopo come l’ananas, il cocco o le arachidi». E chissà che a breve anche qualche impresa o startup non voglia utilizzare lo scarto delle arance come risorsa, dal momento che si parla di costi di produzione molto bassi. «Il brevetto comprende anche il metodo realizzativo che non necessita di attrezzature particolari. Abbiamo fatto un’iniziale stima di produzione per cui con 45 kg di scarto riusciamo a realizzare un metro quadro di pannello». È ancora prematuro fare ipotesi economiche, non essendoci una realtà imprenditoriale da usare come metro di paragone ma se consideriamo che i sottoprodotti presenti solo in Sicilia raggiungono numeri a sei cifre, ci rendiamo conto del potenziale. Un’azienda che produce succhi, ad esempio, già svolge una parte sostanziale nella trasformazione dell’agrume che consiste nella raccolta, nel lavaggio e nella spremitura. Per abbattere i costi dello smistamento del sottoprodotto, poi, basterebbe semplicemente rivenderlo come semilavorato oppure proseguirne la lavorazione fino al prodotto ultimato senza dimenticare che quest’ultimo può essere interamente riciclato anche dopo il suo utilizzo raggiungendo un perfetto equilibrio nell’economia circolare. «Mettermi in gioco con la ricerca in questi anni è stata una bella occasione – conclude Vitale – anche perché, dal momento che ha un costo, spesso le aziende non lo fanno. Per questo nonostante le difficoltà del momento guardo al futuro con ottimismo».

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