Di padre in figlio: Alessandro riporta a Catania “L’importanza di essere Idonea”
«A 100 anni dalla morte di Nino Martoglio, voglio raccontare le radici della nostra Isola. Se oggi esiste un premio Nobel, chiamato Luigi Pirandello, e un grande mattatore dal nome Angelo Musco, lo si deve proprio all’intuizione di Nino Martoglio». Così l’attore e regista Alessandro Idonea, figlio del compianto Gilberto, immagina la nuova versione del one-man show L’importanza di essere Idonea, interpretato dal padre nel 2007 come tributo ad Angelo Musco ed oggi rivisitato per riflettere sull’importanza delle radici e della lingua siciliana. La pièce, che andrà in scena dal 25 al 27 agosto presso l’Anfiteatro delle Ciminiere di Catania all’interno del cartellone estivo di Catania Summer Fest, dunque, non si preoccuperà soltanto di ripercorrere l’eredità paterna, ma anche storie, aneddoti ed espressioni che restituiscono il volto più esuberante e per certi versi anche il più autentico della Sicilia.
Da dove nasce l’esigenza di ritornare ad uno spettacolo come “L’importanza di essere Idonea” e qual è il senso di riproporlo nel 2021?
«Qualche anno fa, dopo la morte di mio padre e mentre ero alle prese con la preparazione di “Una stagione a 4 stelle – Gilberto Idonea”, ahimè mai andata in scena a causa della pandemia, mi sono reso conto che, oggi, siamo privi di quelle figure artistiche che sappiano padroneggiare a pieno la nostra lingua siciliana. Sebbene il dialetto abbia subito, nel bene e nel male, un’evoluzione, non dovremmo mai perdere di vista chi siamo e soprattutto cosa siamo stati in passato. Quindi, questo spettacolo vuole raccontare e riraccontare il genio di Nino Martoglio, l’acume di Luigi Pirandello e la grandezza di Angelo Musco, perché per essere uomini liberi, come diceva il poeta Ignazio Buttitta, bisogna prima conoscere le nostre radici. I racconti, le gag e gli aneddoti che si alternano durante lo spettacolo conservano una musicalità ancora capaci di incantare, con termini ormai desueti ma ricchi di storia. La scelta dei testi si ferma agli anni della morte di Martoglio, Pirandello e Musco, ma grazie alla ricchezza delle nostre tradizioni e della nostra cultura si potrebbe pensare di fare un sequel ogni due anni».
Suo padre si è fatto promotore del grande teatro siciliano in America, Brasile e Argentina. Ricorda ancora quell’esperienza vissuta al suo fianco?
«Ho avuto la fortuna di vivere ogni attimo speso all’estero con mio padre e con la compagnia, ero piccolo ma sempre in prima linea. Non a caso, all’inizio di questo nuovo spettacolo, esordisco dicendo che non sto raccontando per sentito dire, ma attraverso quello che ho visto con i miei occhi. Mostro addirittura l’articolo di Furio Colombo, pubblicato su “La Stampa” nel dicembre 1993, in cui si parla di mio padre, dello spettacolo in tounée per l’America e di me: “anche il bambino Alessandro fa la sua parte con misura e competenza, come dicono i critici”».
Nipote e figlio d’arte: quando ha capito che il teatro sarebbe stato parte imprescindibile della sua vita?
«L’ho capito esattamente nel momento in cui mio padre, alla fine degli anni ’90, smise quasi definitivamente di fare teatro a Catania per muoversi verso il cinema. Io cominciai a sentire una mancanza dentro, mi percepivo come incompleto. Tornai così sul palcoscenico, non per riempire il mio ego, ma per l’incessante voglia di raccontare storie. Ricordo ancora quando dissi a mio padre di voler studiare alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Catania, lui mi guardò, scoppiò a ridere e mi disse: “tantu non ti pigghianu”. Poi invece mi presero e da lì iniziai la mia carriera, mi confrontai con i miei interessi che miravano a un teatro impegnato, mitteleuropeo, di serie A, ma non smisi mai di guardare alle mie radici. Il mio essere sicilianostato sempre ha sempre rappresentato quel quid in più».
Il teatro è innanzitutto scambio e relazione. A suo avviso, quali sono le necessità degli spettatori oggi?
«Il teatro è un momento per arricchire il nostro animo. I grandi maestri siciliani – ai nomi già citati aggiungo Giovanni Grasso, uno dei più grandi attori tragici siciliani – sono un esempio di chi, nonostante l’orrore della guerra e della fame, non ha mai smesso di raccontare con grande entusiasmo il proprio presente. È questo che dovremmo fare noi oggi: ritagliarci un momento nella corsa infinita delle nostre giornate e dedicarcelo».
C’è un ricordo in particolare, tra i tanti legati a suo padre, che continua ad ispirarla nella sua professione e nella vita di tutti i giorni?
«La frase che per me è diventata quasi un mantra è quella che mio padre mi ripeteva negli ultimi anni: “ah, a poi ti vogghiu a vidiri quannu non ci sugnu cchiù iù”. Sapeva che, prima o poi, sarebbe arrivato quel momento in cui non avrebbe più potuto proteggermi o guardarmi le spalle e voleva a tutti i costi che io mantenessi l’amore per la mia terra e per la mia cultura. Oggi, quindi, dedico “L’importanza di essere Idonea”, e più in generale i miei progetti futuri con l’associazione GAGS e i vari impegni presi al Teatro Metropolitan di Catania, alla forza e al coraggio di mio padre che ha saputo difendere il suo pensiero in una terra difficile come la nostra; a lui che ha pagato care alcune delle sue scelte, ma che ha conservato illesa la sua libertà, sempre e comunque».