Sul grande schermo ha interpretato ruoli indimenticabili come Beatrice accanto al premio Oscar Massimo Troisi, Letizia ne “I laureati” di Pieraccioni vestendo anche i panni della spietata assassina in “007- The world is not enough”. Nell’opera prima di Lorenzo D’Amico de Carvalho, al cinema il prossimo 7 febbraio, Maria Grazia Cucinotta è invece Adele, mamma di Elena (Romana Maggiora Vergano) adolescente impegnata politicamente e moglie di Eugenio (Ninni Bruschetta), professore di greco distratto dai libri e dal fascino della vicina di roulotte. Adele è una donna che nonostante all’inizio si limiti a fungere da mediatrice nel rapporto tra il marito e la figlia, alla fine sfodererà tutta la grinta che possiede diventando artefice della propria esistenza.

“Gli anni belli” ripercorre l’estate della sedicenne Elena, che a dispetto della sua età pensa di avere una visione chiara della vita e della politica. Da mamma di un’adolescente per lei è stato semplice confrontarsi con questo personaggio?
«Mi sono emozionata quando ho letto la sceneggiatura perché mi sono ritrovata in situazioni che vivo tutti i giorni. Molte delle cose che nel film dico a Elena, sono le stesse che ripeto a mia figlia Giulia. Adele appoggia le decisioni della figlia perché anche lei, a suo modo, tenta di compiere una piccola rivoluzione, non accetta di lasciarsi piegare dalle situazioni ma vuole vivere la vita pienamente e questo credo venga fuori in ognuno dei personaggi perché ciascuno di loro ha un sogno da realizzare e cerca in tutti i modi di raggiungerlo».

Nonostante quella adolescenziale sia la tematica che guida tutta la pellicola, il film si occupa però anche dei problemi degli adulti.
«Il film è molto attento nell’esplorare i riflessi del tempo che passa sulle evoluzioni a cui va incontro un rapporto di coppia, specialmente quando ci sono dei figli. Una volta che sono cresciuti, moglie e marito si ritrovano da soli e intanto la complicità è venuta meno come anche la voglia di stare insieme. La donna ha magari paura di non essere più attraente come prima, il marito è un po’ distante, quindi quello diventa il momento in cui ritrovarsi».

Dal 7 febbraio l’attrice messinese torna al cinema con la commedia “Gli anni belli” di Lorenzo D’Amico de Carvalho, dove interpreta Adele una donna alle prese con l’adolescenza della figlia e i cambiamenti nel rapporto con il marito.
foto Valerio Lintozzi

“Gli anni belli” è ambientato nel 1994 un anno di grandi cambiamenti politici per il nostro Paese e che ha rappresentato un momento di svolta nella sua carriera. A distanza di tempo, come ricorda la sua esperienza accanto a Massimo Troisi?
«Il postino ha cambiato per sempre la mia vita professionale quindi ho un ricordo meraviglioso di quel periodo. Devo tutto a Massimo per avermi dato un’opportunità, per essere andato oltre il pregiudizio che mi vedeva solamente come una ragazza del Sud che non aveva mai fatto nulla di importante».

Com’è stato lavorare con un giovane regista che, non dimentichiamo, è anche co-sceneggiatore insieme ad Anne Riitta Ciccone?
«Quando si ha la fortuna di incontrare registi attenti come Lorenzo, anche gli attori trovano un loro equilibrio e di conseguenza lavorano bene. Oggi purtroppo è sempre più difficile, i registi sono interessati solo alla parte tecnica e si dedicano poco agli interpreti, mentre una volta ti insegnavano un mestiere aiutandoti a rendere vere le vite dei personaggi».

Che atmosfera si respirava sul set?
«Sinceramente mi sono divertita perché questa storia racconta tante verità, passate e presenti, che permettono di riflettere. Quello che mi piace del mio personaggio è che a un certo punto trova la forza di chiedere aiuto a un’amica e osa, perché nella vita bisogna avere anche il coraggio di non prendersi sempre sul serio. E anche se agli occhi del marito sembra ridicolizzarsi, in realtà Adele vuole soltanto riprendersi la sua intimità e il proprio essere donna».

foto Valerio Lintozzi

“Alla prima ruga corrono dietro a una più giovane”, dice Adele all’inizio del film. Per le donne invecchiare è ancora oggi un tabù?
«Purtroppo sì, anche se io credo che l’età sia più uno stato mentale che una questione di numeri o di tempo che passa. Dopotutto, anche la bellezza è qualcosa che si evolve. Non appena ho compiuto cinquant’anni la prima domanda che mi hanno fatto è stata: “Vorresti tornare indietro?”. Mai, mi reputo fortunata a essere arrivata fin qui così come sono. Tutte le esperienze che ho vissuto nella vita mi hanno portato a essere una persona completa e a capire cosa significa veramente essere donna. È vero che tante volte gli stereotipi ti portano ad avere paura delle rughe ma facendo parte dell’Associazione Komen e vedendo come lottano ogni giorno tante donne per sconfiggere i tumori, ho capito quanto sia importante la vita e anche invecchiare. Tante volte ci si dimentica che diventare vecchi non è un regalo che viene concesso a tutti».

Purtroppo quello degli standard estetici non è la sola forma di prevaricazione da cui le donne devono, ancora oggi, difendersi. Lei ha spesso raccontato della brutale aggressione che ha subito a ventidue anni da uno sconosciuto e che oggi l’ha portata a diventare presidente dell’Associazione Vite senza paura che combatte la violenza sulle donne. Quali obiettivi vi siete prefissi?
«Stiamo ancora lottando perché bisogna cambiare le leggi. Sono molti i reati che restano impuniti e minimizzati, mentre le donne continuano a essere biasimate per il loro abbigliamento. Vogliamo combattere contro questi pregiudizi, contro le attenuanti e la burocrazia troppo lenta, per riuscire a salvare la vita delle donne. Ancora troppe ne muoiono in attesa di giustizia, per poi leggere: “Aveva denunciato ma non era stata creduta”. Queste sono tutte doppie morti per noi. Certo, portare avanti questa lotta non è facile e capita che ci si scoraggi. Tante volte è come combattere contro i mulini a vento. Insieme però siamo più forti. Non è facile, è certamente molto faticoso, però se non lo fa nessuno niente potrà mai cambiare».

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