«Parlando della sua vita, Rita Levi Montalcini, diceva spesso che a lei tutto fosse riuscito facile. Si era scrollata di dosso le difficoltà come acqua sulle ali di un’anatra, convinta che non vi fosse nulla nella scienza che potesse essere precluso a una donna o uomo per il solo fatto di appartenere a uno o all’altro genere. Era stata scienziata in un’epoca in cui le tecnologie erano rudimentali, ma l’intelletto e la genialità sempre fine, e con determinazione aveva portato avanti le sue idee». Prende spunto da una delle studiose più importanti del XX secolo, la senatrice Elena Cattaneo, nella lectio magistralis tenuta per l’inaugurazione del nuovo anno accademico all’Università degli Studi di Catania. E lo fa non solo per ricordare i grandi meriti scientifici della neurologa torinese, della quale fra l’altro quest’anno ricorre il decennale dalla morte, che nel 1986 ottenne il Nobel per le sue ricerche sul NGF (fattore di crescita nervoso) ma come esempio di pervicacia e passione per la ricerca a dispetto di circostanze non certo facili.

IO RESTO IN PIEDI. Ebrea nell’Italia delle leggi razziali, la Montalcini non si fece mai fermare da niente e nessuno, neppure da chi aveva immaginato per lei una vita più “convenzionale” in veste di moglie e madre. «Nel 1939 – aggiunge la Cattaneo – la neurologa scappò in Belgio, ma dopo l’occupazione della Polonia, a opera di Hitler, decise di tornare nella sua Torino. Ed è qui che nella sua stanza da letto allestì un piccolo laboratorio di ricerca con un microscopio comprato a Milano. Era rimasta affascinata da un articolo di Viktor Hamburger nel quale attraverso gli embrioni di pollo, il ricercatore della Washington University aveva studiato il modo in cui il sistema nervoso si collegava agli arti periferici. Nonostante la città fosse sotto i bombardamenti, qualche vantaggio Rita l’aveva avuto – prosegue ironica –. Per comprare il suo microscopio non aveva dovuto far tre preventivi, niente DURC o MePA – il mio incubo – né dichiarazioni di unicità al rivenditore di uova. Non aveva il problema del Cig, dell’imposta di bollo per ogni fattura, non doveva aspettare settimane per un reagente». Una critica amara che ammanta la riflessione della biologa milanese, nota per i suoi studi a Boston sulle cellule staminali e sulla malattia di Huntington, sull’eccessiva burocratizzazione del Belpaese. «Sia chiaro, – sottolinea – non è una brutta parola, anzi credo che faccia parte della struttura portante della buona funzione pubblica ma l’università non può diventare un’azienda iperburocratizzata che fornisce prodotti».

PARI OPPORTUNITÀ. Nella sua riflessione, la senatrice della Repubblica, si riallaccia anche all’attualità. In particolare, fa riferimento all’ungherese Katalin Karikò, vicepresidente BioNTech e docente alla Pennsylvania University, il cui nome è legato allo sviluppo di una terapia genetica basata sull’mRNA divenuta fondamentale nel febbraio del 2020 per sintetizzare il vaccino contro Sars-CoV-2. «I genitori di Rita – osserva la Cattaneo – erano molto colti quindi instillarono in lei il fascino della ricerca intellettuale quelli della Karikò no: il padre era un macellaio, la madre una contabile. Dico questo perché nella scienza c’è spazio per tutti a patto che si abbia una buona idea da mettere in competizione». La biochimica impiegò quindici anni prima che il suo obiettivo di usare gli RNA come farmaci, eludendo la risposta immunitaria del corpo, fosse valido. Tra finanziamenti saltati, retrocessioni e fallimenti, venne a capo della sua ricerca solo nel 2005 ma in tutto quel tempo non venne mai meno il suo approcciato critico e trasparente al lavoro. Oggi il suo nome è fra quelli che hanno contribuito a cambiare il destino dell’umanità mentre le sue ricerche hanno finalmente ottenuto i giusti riconoscimenti. «Lei era una donna immigrata, – sottolinea – questo rende la sua perseveranza ai miei occhi ancor più d’ispirazione. Rita e Katy, non erano solo donne, avevano due in comune il metodo, fatto di domande e conferme, e la libertà, quel diritto che ogni studioso ha di potersi muovere senza che muri o cancelli glielo impediscano».


FREE TO THINK.
 Spazi di libertà che, ancora oggi, sono costantemente violati come nel caso del giovane Giulio Regeni. Si commuove la Cattaneo ricordandone la storia: «Non faccio nessuna fatica a immaginare questo giovane che vuole dare una risposta alla sua domanda. Quando qualcuno ha cercato di interferire con il suo metodo lui ha risposto: “io sono un accademico e lavoro nell’interesse pubblico”. Queste per me sono parole scolpite nella pietra, di chi nella difesa dell’integrità del proprio ruolo pubblico ha tristemente perso la sua vita». Ripercorrendo le eccellenze dell’Università pubblica italiana la Cattaneo ha osservato come la ricerca spesso venga ostacolata nel nostro Paese. «Ogni giorno mi rimbocco le maniche per riconquistare ogni centimetro di libertà, stando attenta di non perderne nessuno semplicemente adeguandomi o non indignandoti più». Sebbene le mani Elena Cattaneo se le sia sempre sporcate, accanto a Elisabetta Cerbai e Silvia Garagna, facendo ricorso contro il Governo per poter l’utilizzo le cellule staminali oppure battendosi per bandi e procedure di finanziamento più trasparenti. «Sono battaglie che m’inorgogliscono tanto quanto una scoperta scientifica – conclude –, perché la libertà di ricerca ne è il presupposto. Essere studiosi consapevoli significa anche essere guardiani dell’interesse pubblico. Spetta a noi partecipare alla ricostruzione della democrazia nella speranza di un mondo migliore».


LA CERIMONIA DI INAUGURAZIONE

Svoltasi nella suggestiva cornice della chiesa di San Nicolò l’Arena, la cerimonia solenne per l’inaugurazione del 578° anno accademico dell’Università degli Studi di Catania è stata un’occasione per tracciare un bilancio degli ultimi due anni durante i quali l’istituzione si è dimostrata capace di affrontare una fase di grandi difficoltà e disagi con professionalità e resilienza, proseguendo al contempo in un cammino di rinnovamento sotto la guida del Rettore Francesco Priolo. A introdurre l’evento sono state le parole della ministra dell’Università e della Ricerca Cristina Messa la quale ha ricordato come le istituzioni universitarie, e in particolare quelle dell’isola, siano chiamate a dimostrarsi all’altezza del loro ruolo di “fari” per la società tutta. Alle sue parole hanno fatto eco quelle del rettore Priolo che nel suo discorso si è fatto interprete  del sentimento diffuso di orgoglio per i traguardi raggiunti negli ultimi anni e ha individuato le sfide che attendono l’Ateneo in futuro. Tra queste il raggiungimento della piena parità di genere – rispetto al quale, nonostante l’adesione al Gender Equality Plan, ancora molta strada rimane da fare – l’innovazione e la digitalizzazione, l’inclusione sociale e il diritto allo studio, l’internazionalizzazione e, infine, maggiore una attenzione alla sostenibilità. Una progettualità, quella indicata da Priolo, che non può prescindere dal territorio in cui l’università è situata e al servizio del quale essa deve porre le sue competenze e professionalità in un contesto contrassegnato dalle nuove possibilità aperte dal PNRR. Un appello a cui i talenti Unict non hanno tardato a rispondere prendendo parte, come sottolineato dal Direttore generale  Giovanni La Via nel suo intervento, a numerosi progetti candidati al finanziamento europeo. Durante la cerimonia per introdurre i vari momenti (vi sono stati anche interventi musicali e teatrali) sono stati chiamati sul palco studenti e studentesse: una scelta comunicativa precisa, volta a sottolineare la loro centralità nella missione dell’Università. 

Alcuni momenti musicali sono stati proposti dal quartetto d’ottoni del Teatro Massimo Bellini di Catania e dagli organisti Cipolla e Lazzaro, i quali hanno suonato il monumentale organo di Donato del Piano, mentre l’attrice Lucia Portale ha recitato una lettera di Rita Levi Montalcini al nipote Emanuele e la cantante 

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