Erano davvero le minne di sant’Agata il dolce “scandaloso” del Gattopardo?
«Come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò a proibire questi dolci?» esclama il rigido Don Fabrizio de “Il Gattopardo”. Quale leccornia può suscitare una simile indignazione in un uomo dal grande rigore morale? Sono le impudiche “paste delle Vergini”, «le mammelle di Sant’Agata vendute dai monasteri, divorate dai festaioli! Mah!».
CATANIA O AGRIGENTO? A leggere le pagine del romanzo di Tomasi da Lampedusa, sembrerebbe lampante nella citazione sopra riportata cogliere un riferimento alle minnuzze di Sant’Agata, le tipiche cassatelle catanesi vendute in occasione delle celebrazioni agatine. I dolci esposti sulla tavola imbandita per il ballo dei Ponteleone provenivano dalla piana di Catania, tuttavia la loro descrizione non coincide con quella delle cassatelle etnee. La raffinata mescolanza di bianco mangiare, pistacchio e cannella racchiusa nei dolci assaggiati da Don Fabrizio richiama alla mente un altro tipo di “seno”: le minne di Virgini di Sambuca di Sicilia (AG), poco distante dai luoghi del Gattopardo.
PRELIBATEZZE PAESANE. Questi dolci sono composti da una frolla che al suo interno racchiude crema al latte, zuccata e pezzi di cioccolato fondente con essenze di cannella e chiodi di garofano. È evidente la differenza dalle minnuzze di Sant’Agata, un cuore di ricotta avvolto da pasta reale e glassa. Secondo la tradizione il dolce sambucese fu inventato nel 1725 da suor Virginia Casale di Rocca Menna per le nozze del marchese Pietro Beccadelli. Volendo creare qualcosa che stupisse i nobili Beccadelli, la religiosa decise di preparare un dolce paesano, ma prelibato. La ricetta e l’origine di questa leccornia sono raccontati del libro “Per modo di dire” dello storico Alfonso Di Giovanna: «Farina, uova, latte, lievito. Si compone una pinna di pasta tonda come una luna piena; al centro si accumula un po’ di tutto: […] la zuccata, la crema, l’essenza di garofano e di cannella, qualche pezzo di cioccolato e… quant’altro mi ispirerà il Signore…».
MINNE E MINNUZZE. A differenza delle minnuzze di Sant’Agata, le minne di Virgini non avrebbero un’origine religiosa, anche se la loro degustazione è legata alle celebrazioni della Santissima Madonna dell’Udienza, patrona di Sambuca. La loro forma rotondeggiante con una protuberanza centrale più scura richiama alla mente l’immagine di un seno, proprio come le cassatelle catanesi. Da qui l’ipotesi che anche questo dolce sambucese possa essere legato ad antichi culti femminili siculi. La tradizione scritta però vuole che il loro aspetto sia dovuto al panorama di Sambuca: «La forma delle colline mi ha suggerito che noi dovremmo presentare ai marchesi un dolce che abbia la forma e, in quanto al contenuto porti la dolcezza di questa terra». Stando allo storico Di Giovanna i monti dalla valle dell’Anguillara alla costa delle Minnulazza avrebbero ispirato Suor Virginia. La denominazione delle minne di Virgini invece non alluderebbe ai seni, ma al nome di suor Virginia Casale di Rocca Menna.