«A volte mi chiedo anch’io quanto possa significare il mio sforzo di raccontare una storia così apparentemente lontana da noi, quella di una attivista pakistana morta troppo presto. Ma poi mi ricordo che, nei momenti di difficoltà come quelli che abbiamo vissuto di recente, isolati e circondati da muri di silenzio, la musica può vedere oltre e superare ogni forma di incomunicabilità». Così la cantautrice e percussionista Francesca Incudine riannoda le fila di “Voci fuori dal muro”, progetto musicale all’interno del quale trova spazio “Zinda” (in italiano “Viva”). Il brano, ispirato alla drammatica vicenda dell’attivista pakistana Sabeen Mahmud, uccisa a Karachi nell’aprile del 2015, le è valso un posto tra i finalisti della Targa Tenco di quest’anno (riconoscimento che ha già conquistato nel 2018 con l’album in dialetto “Tarakè”). Il videoclip del brano, che porta la firma di Raffaele Pullara, è stato presentato in anteprima proprio in Pakistan in occasione del sesto anniversario dell’uccisione dell’attivista.

“Zinda” racconta la storia dell’attivista pakistana Sabeen Mahmud. Come sei entrata in contatto con questa vicenda e come ne è nato un brano così particolare, cantato sia in lingua italiana sia in urdu? 
«Mi è tornata in mente un’immagine particolare, risalente al 2018 e alla mia visita in Pakistan. Sul muro del 2floor, unico centro culturale della città di Karachi fondato da Sabeen, campeggia proprio un murales che ritrae il suo volto. Da lì l’interesse per la sua storia: uccisa dopo aver tenuto una conferenza sul tema dei rifugiati politici. Questa vicenda mi ha toccato profondamente e al mio ritorno è iniziata la lunga genesi di questo brano. L’ho lasciato sedimentare e pian piano il testo ha preso vita. “Zinda”, che significa “viva” in lingua urdu, è un omaggio a lei. Ma anche un monito che parla delle nostre libertà».

Hai affidato al cantautorato un compito quasi giornalistico di raccontare una vicenda dal grande valore, anche simbolico. Come si inquadra un brano come “Zinda” all’interno di “Voci fuori dal muro”?
«“Zinda” è il secondo singolo dei quattro di cui si comporrà tutto il progetto. Il primo è uscito a dicembre, ma tutti i brani sono nati durante il lockdown dell’anno scorso. Ho voluto condividere una storia come quella di Sabeen perché credo riesca a parlare a tutti di temi come il coraggio, la condizione delle donne, ma soprattutto quello della libertà di essere sé stessi. Quando Sabeen venne uccisa, i giornali la dipingevano come una scheggia impazzita a Karachi, città tristemente nota per l’attività terroristica. Con “Zinda” ho cercato di offrire una chance di redenzione ad una comunità vogliosa di riscatto, cosa in parte accaduta dopo la morte di Sabeen».  

Nell’aprile del 2021 il tuo brano “No name” è stato inserito in un corso della New Jersey City University sull’incendio della Triangle di New York – la fabbrica della “camicette bianche” – dove nel 1911 persero la vita 146 persone, molte delle quali giovani donne italiane provenienti soprattutto dalla Sicilia. La canzone è presente anche sul portale dedicato alle raccolta delle fonti sull’evento storico. Com’è andata?
«Anche questo è stato uno dei doni di quest’anno. Mi ha contattata la docente della  New Jersey City University, originaria di Gela, Edvige Giunta che nelle sue ricerche sulla Triangle West Company si è imbattuta nel mio brano. Da qui è nata una bellissima collaborazione: il testo della canzone è stato utilizzato come base per una messa in scena a cui sono stati affiancati dei momenti di danza e il prossimo libro della professoressa Giunta si aprirà con alcune citazioni del brano. La musica, insomma, si è fatta memoria operante». 

La forma canzone è a tuo avviso il modo migliore per raccontare storie come queste?
«Sicuramente è un modo per raccontare che può toccare delle sensibilità. Il modo di fruire della musica, tuttavia è cambiato rispetto al passato. Una volta i cantautori usavano la forma canzone per rappresentare uno spaccato del loro tempo, oggi invece la musica è prettamente destinata ad un rapido consumo. Tuttavia credo che con un’operazione di rieducazione all’ascolto – la quale dovrebbe partire da noi artisti verso il pubblico – le cose potranno cambiare. Ho conosciuto diversi bambini e adolescenti che ascoltano la mia musica. “No name”, ad esempio, è stato utilizzato per una tesina d’esami di terza media». 

Al di là delle peculiarità di “Zinda”, la tua produzione ricorre spesso al siciliano. In che modo ti porti dietro l’isola nella tua musica?
«Per me la Sicilia non deve essere per forza folk, piuttosto dovrebbe suonare acustica e naturale proprio come la sua lingua, un codice davvero visionario. Me la porto sempre nelle canzoni che vogliono guardarsi attorno. La tradizione, del resto, è già etimologicamente “tradita”: mi circondo di suoni e delle parole dei quali la terra si è nutrita essendo stata attraversata da molte culture. Il risultato è un suono radicato ma dalle fronde larghe».

Cosa dobbiamo aspettarci dai brani che completeranno “Voci fuori dal muro” e  da un tuo ritorno sui palchi?
«I prossimi brani dovrebbero vedere la luce, rispettivamente, in estate e il prossimo autunno, andando a completare un progetto in cui ho creduto fortemente in un periodo complicato per tutto il mondo dell’arte ma durante il quale la musica non si è mai davvero fermata. Abbiamo già in mente alcune date estive per tornare a fare musica live a cominciare dal 24 luglio a Rovigo».

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