Presentato a fine novembre in anteprima nazionale al Roma Web Festival,  Transfert ha ricevuto 13 nomination e ben 8 premi agli Oniros award tra cui quello di miglior film, miglior debutto alla regia, miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista.

Il primo lungometraggio del regista catanese Massimiliano Russo tiene il fiato sospeso fino all’ultimo minuto, con un finale degno di Shutter Island, e obbliga lo spettatore ad assumere il punto di vista del protagonista, Stefano Belfiore (Alberto Mica). Il transfert del titolo diventa essenza stessa della fruizione visiva: lo spettatore siede su quella poltrona girevole che Stefano ha montato con tanta minuzia, il regista spinge la sedia e lo spettatore comincia a ruotare inesorabilmente. La narrazione procede rapidamente con netti tagli di montaggio che intersecano nervosamente le tante storie che in fondo ripetono sempre la stessa. Un bambino adottato cresciuto da una madre instabile, uno psicoterapeuta alle prese con dei casi inquietanti, una coppia preoccupata dai tentati suicidi del figlioletto, due sorelle legate da uno strano rapporto. Lo spettatore si addentra nel mondo della psicoterapia lentamente, dapprima origliando dietro la porta, poi ascoltando storie di ordinario dolore e infine assistendo alla caduta inesorabile di chi camminava sul ciglio del burrone e a forza di ruotare su sé stesso ha perso l’equilibrio.  E certamente nel trasmettere quest’inquietudine ben più eloquenti dei dialoghi, a volte un po’ artificiosi, sono state le immagini: un mappamondo fatto ruotare inesorabilmente, una poltrona trascinata in ogni luogo della città, topografia mentale, il mare indomabile e in tempesta. Certo avrà giovato il fatto che il regista si è occupato anche del montaggio, evitando quel rapporto confronto-scontro che può a volte innescarsi tra le due figure.

Presentato a fine novembre in anteprima nazionale al Roma Web Festival,  Transfert ha ricevuto 13 nomination e ben 8 premi agli Oniros award tra cui quello di miglior film, miglior debutto alla regia, miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista. Un film che non lascia certo indifferenti e che investiga affondo le conseguenze della violenza psicologica, tanto più distruttiva quanto più chi ne è vittima, che sia un bambino, una donna con tendenze suicide o uno psicoterapeuta molto giovane ed inesperto, è totalmente incapace di difendersi. Tante le domande che insorgono nello spettatore, difficile rispondere. Bisognerebbe sondare a fondo la mente umana e capire a quali regole soggiace la nostra identità, accertarci se davvero liberamente nella vita scegliamo di essere psicoterapeuti o pazienti.

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