Guerra, cinema e magia: “Jacu” di Paolo Pintacuda e il potere della speranza
«Jacu racconta la sopravvivenza della speranza in un mondo votato all’irrazionalità». Così Paolo Pintacuda, sceneggiatore e scrittore siciliano, ci parla del suo nuovo romanzo già finalista al Premio DeA Planeta 2020 e in uscita il 17 febbraio per i tipi di Fazi editore. L’opera affonda le sue radici nelle memorie familiari e nell’infanzia dell’autore, trascorsa nelle sale del Cinema Nazionale di Bagheria accanto al padre, Mimmo Pintacuda, proiezionista cinematografico e maestro di fotografia di Giuseppe Tornatore che proprio a lui si ispirò per il personaggio di Alfredo di Nuovo Cinema Paradiso. Con il passare degli anni, Paolo ha custodito con cura ricordi, immagini e narrazioni che poi ha tessuto con elementi fantastici nella creazione di Jacu, un racconto dal valore mistico, sempre in bilico tra leggenda, parabola e crudo realismo.
All’interno del romanzo s’intrecciano i temi della memoria, della narrazione e del fascino del cinema. Come li ha approcciati?
«Mio padre possedeva il dono del racconto attraverso l’arte del cinema e della fotografia. Questo ha segnato la mia infanzia e certamente è presente nel libro. Mi narrava spesso episodi di vita vissuta e credo che il primo seme di Jacu sia nato in seguito a uno dei suoi racconti sulla partenza per la Prima Guerra Mondiale di mio nonno, che a soli diciassette anni lasciò tutto in cambio di aerei, carri armati, fucili e dirigibili. Da quel momento rivolsi a me stesso una riflessione che poi divenne uno dei fili conduttori del romanzo: cosa sarebbe accaduto a un giovane di quel tempo, come fu mio nonno, se si fosse trovato a dover uccidere qualcuno, sapendo però di possedere il dono della guarigione?».
Quindi il protagonista ha dei poteri magici?
«Posso sbilanciarmi dicendo che Jacu è un eroe dal cuore buono che diventa l’emblema della speranza in una terra desolata, in cui sembra che sulle vicende incomba un senso di fatale e grottesca inevitabilità. L’elemento magico, cioè il potere curativo posseduto da Jacu, crea un forte contrasto con il tema della Grande guerra, che fa da sfondo alle vicende del romanzo con tutti i suoi comprensibili e drammatici riti, anche se a emergere, è il racconto dell’indole umana in molte delle sue sfumature».
Le vicende del libro si svolgono in un immaginario paese dell’entroterra siciliano, Scurovalle. A cosa si è ispirato per la sua ideazione?
«Nella finzione del romanzo, Scurovalle si trova tra la provincia di Palermo e quella di Girgenti (oggi Agrigento ndr). Lì affiorano superstizione, invidia, rancore ma anche tanta generosità e speranza. L’ispirazione nasce dalla voglia di raccontare di una Sicilia arcaica dai profumi e dai sapori di una volta, cercando al contempo di dipingere un panorama storico che fosse il più fedele possibile al periodo in cui la vicenda ha inizio, cioè dalla fine dell’Ottocento fino agli anni ’40 del secolo successivo».
Il suo romanzo è ambientato nel periodo bellico, ma i lettori che lo approcceranno oggi si trovano in un momento storico comunque difficile, quello della pandemia. Esiste un messaggio trasversale alle epoche, che viene fuori da Jacu?
«Direi che il messaggio che al meglio sintetizza il senso più profondo della storia è che anche nelle più grandi tragedie, nei momenti più bui della vita, c’è un inesauribile senso di speranza».