«Sono stato introdotto al blues per la prima volta quando ero in prima media», ha raccontato Roosevelt Collier in una intervista al The Marquee. «Il mio amico mi ha dato un nastro e mi ha detto: “Yo, devi ascoltarlo”. Non sapevo cosa fosse», ha continuato. «C’era solo un vecchio pezzo di nastro e sul lato della cassetta una scritta che diceva “SRV”. Quella sera sono andato a casa, l’ho messo nel mio registratore e la prima cosa che ho sentito è stato un ragazzo che strappava la chitarra. Rimasi a bocca aperta: “Chi diavolo è questo?”, mi chiesi. Ricordo ancora quella notte, rimasi sveglio tutta la notte, ascoltando il nastro e imparando quella musica. Il giorno dopo a scuola, corsi dal mio amico: “Yo yo! Chi è questo? Che cos’è SRV?”. E lui mi spiegò: “Quello è Stevie Ray Vaughan”. E io risposi: “Stevie Ray chi? Bene, comunque, ho bisogno di ogni nastro che hai di lui!”».

«Il Vangelo è alla base di quasi tutti i generi di musica americana. Soprattutto il blues»

A quel punto della sua vita, Collier suonava già la pedal steel nella chiesa della sua famiglia, la House of God Church di Perrine, in Florida. Ma, ascoltando quel nastro, avvertì subito l’affinità tra il blues, la musica del diavolo, e il gospel e, ispirato di Stevie Ray, iniziò ad ampliare la sua tavolozza musicale. «Il Vangelo è alla base di quasi tutti i generi di musica americana», riflette Collier. «Soprattutto il blues. L’unica cosa che è diversa sono i testi. Inoltre, io e la mia famiglia, essendo una specie di ribelli, stavamo già suonando blues e funk in chiesa. Quindi, mi è sembrato naturale iniziare a suonare in giro per la città nelle serate blues locali».

Suonando nelle House of Blues, Roosevelt Collier si è conquistato il titolo di “The Dr.” della pedal steel, della quale è considerato una sorta di Jimi Hendrix per l’incredibile miscela di blues, gospel, rock e funk, che produce con la sua band. Harry Hong (basso), Tommy Shugart (organo Hammond) e Aaron “Bucky” Buckingham (batteria) sono i compagni di viaggio che lo accompagneranno nel concerto che il 12 aprile al Teatro Abc chiude la stagione di Catania Jazz.

Il suo stile è ricco di escursioni melodiche. Il suono distorto e l’uso del wha-wha fanno pensare a Jimi Hendrix, la forza delle sue esibizioni a Johnny Winter

Collier viene da una famiglia intrisa di musica. Sua madre era una cantante e, dopo l’improvvisa perdita del padre, quando Collier era solo un bambino, i suoi tre zii intervennero per aiutarlo a crescere. Quegli zii sono Alvin Lee, Derrick Lee e Keith Lee, i fondatori del leggendario ensemble di acciaio sacro The Lee Boys, noti per le loro esibizioni dal vivo vivaci e sconvolgenti. Con loro è andato in tournée da giovane. Negli anni successivi, Collier ha condiviso i palchi come ospite speciale con The Allman Brothers, Umphrey’s McGee, Buddy Guy, Los Lobos e The Del McCoury Band, per citarne alcuni. Ma è stato soltanto nel 2018 che Collier ha sentito la chiamata di pubblicare il suo primo album da solista. «Credevo che, una volta fossi stato in grado di pubblicare il mio primo album, mi avrebbe aiutato ad affermarmi di più come artista».

Il suo stile è ricco di escursioni melodiche, il suo suono distorto e l’uso del wha-wha fanno pensare a Jimi Hendrix; l’energia e la forza delle sue esibizioni lo avvicinano invece a Johnny Winter. Come bandleader, Roosevelt guida i suoi compagni d’avventura con un misto di “superstar della chiesa” e demone blues, facendo urlare la sua chitarra a pedali e infiammando il pubblico con esibizioni travolgenti. «Ho intenzione di guarire questo mondo con la musica», conclude. «Questa è la mia missione; questo è il mio obiettivo».

Roosevelt Collier

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