Essere un fotoreporter non significa soltanto applicare una tecnica per catturare un’immagine, ma essere spinti dallo stupore per cogliere momenti non comuni. Come accade in una foto scattata da Carmelo Condorelli nel 1970, che ritrae il confronto tra la saggezza delle generazioni sfuggite alla guerra e la gioia di quelle nascenti

Ci sono foto che necessitano di una folgorante e non comune capacità di sguardo per essere colte interamente nel loro significato.

Avevo 10 anni e mi ritrovavo spesso a fare a mio padre, quando lo accompagnavo nel suo lavoro di fotoreporter, questa domanda: «Papà, cosa stai guardando?». Anche quel giorno, ci trovavamo a Piazza Armerina per una manifestazione di protesta di agricoltori, passando dalla piazza principale, vedo mio padre che velocemente attraversa la strada e scatta questa foto. Io, di getto, chiedo: «Ma cosa hai visto?». «Due universi che si incontravano e che con meraviglia reciproca si sono messi a dialogare».

Mio padre, Carmelo, nel suo lavoro di fotoreporter, partiva sempre da una meraviglia nei confronti della realtà, da uno stupore per essa, che io non sempre coglievo. Lo stupore gli procurava una genialità nel cogliere le immagini non comuni. O per dirla col grande maestro Cartier-Bresson, attraverso la fotografia, “in un istante raggiungeva l’eternità”.

Al centro della foto c’è la mano aperta di un anziano che dialoga con i bambini, gli altri anziani osservano compiaciuti. Particolarmente gioiosa è una delle bambine. Il titolo dato da mio padre alla foto presentata ad una mostra anni fa al Municipio di Acireale, dove ha svolto la sua professione di fotografo, era: “I bimbi ascoltano i grandi”. Titolo di grande respiro e pieno di speranza per un futuro da vivere pienamente.

La foto è stata scattata nel 1970. Gli anziani fotografati avevano tutti vissuto le due guerre mondiali, la ricostruzione del Dopoguerra e il boom economico degli anni ’60. Solo questo ha permesso loro di incontrare questi bambini con saggezza e fiducia. I bambini, anche se di molti non vediamo il volto, sono lieti, contenti di incontrare persone con una esperienza immensa di vera umanità.

Questo scatto mi è molto caro anche perché è stato scelto e inserito nel ricordo che come famiglia abbiamo fatto dopo la morte di mio padre nel 2004. Lui diceva spesso: «Mi imbarazza esprimermi usando le parole. Ciò che rimane di un uomo sono il ricordo e le immagini che ha lasciato». Molte di queste, come la foto presentata, parlano da sole.

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