«Fin da bambino, sento di avere una specie di malattia: tutte le cose che mi stupiscono si dissolvono senza che io riesca a conservarle abbastanza. Con questa consapevolezza il francese Jacques Henri Lartigue, già ultrasettantenne, comincia un cammino nel campo dell’immagine che lo porterà ad essere considerato  “il fotografo della felicità”.

Dopo una carriera da pittore – sempre con la macchina fotografica al collo – il successo come fotografo lo sorprende all’età di 68 anni, quando il Museum of Modern Art di New York, nel 1963, espone i suoi scatti della Belle époque. La mostra è un trionfo e grazie al successo di pubblico Lartigue inizia nuove collaborazioni nel campo della moda e del cinema. Senza che nessuno potesse immaginarselo, diventa un punto di riferimento per i giovani fotografi: il fotografo insomma diventa il soggetto fotografato. Nel 1970 pubblica anche il suo libro Diario, una rilettura della storia attraverso le foto scattate nell’arco di tutta una vita, pescando dall’album familiare e personale e mescolando testo, immagini e impaginazione. Ne esce un’opera d’arte che consacra Lartigue agli occhi del pubblico e della critica.

La lievità è stata la cifra dell’esistenza di questo singolarissimo e longevo – visse fino a 92 anni – maestro della fotografia: la ricerca della felicità è stata sempre al centro della sua esistenza. Il suo esser considerato un eterno principiante nel settore della fotografia gli ha però permesso di includere nei suoi scatti solo quella bellezza che il suo occhio e il suo cuore cercavano:  ha saputo restituire un mondo perfetto, fatto di eleganza e di intimità, studiato in maniera tale che nulla potesse disturbare l’equilibrio della composizione. Eppure non si tratta affatto di immagini stucchevoli, ma ben vive. Lartigue immortala sulla pellicola momenti rubati alla vita quotidiana, attimi di pura gioia in cui spesso bambini e adulti saltano, le belle donne passeggiano, la borghesia elegante trascorre le vacanze in località alla moda, va alle corse, pratica sport e ama la velocità. Lartigue, da eterno fanciullo che era, ha sempre cercato con testarda passione di arrestare con la sua macchina fotografica «l’istante fuggitivo della vita».

Lo scatto presentato è stato realizzato nel 1926 in spiaggia dove era in vacanza insieme ad una delle sue tre mogli, Jeanine Lehmann. È una foto che esprime la gioia, l’agilità e la grazia di un istante tutto in movimento. Scattata volutamente in controluce, la foto vuole catturare il dinamismo della scena. Il cane corre, la donna salta, le onde del mare, anche se non alte, si appoggiano discretamente sulla sabbia, lo sfondo è sfocato per esaltare un istante irripetibile da catturare per sempre.

Lartigue ha avuto in regalo la prima macchina fotografica all’età di 7 anni, questo gli ha permesso di riempire il suo diario di migliaia di fotografie. In tutto ha accumulato 14.423 pagine in 135 grandi album, con circa 250 mila foto, composto da annotazioni, racconto di eventi, foto reali e anche mentali. Tutto nel tentativo di usare ogni mezzo per “fermare il tempo”. Le sue foto mentali sono descrizioni accurate dello scatto prima di essere stampato. Queste foto  sono piene di malinconia, un senso continuo di perdita, che lo spinse ad inventarsi un rituale: ogni volta che viveva una situazione incantevolmente bella e piacevole, prima che fosse finita, chiudeva e riapriva gli occhi per “catturarla”. Senza rendersene conto, faceva qualcosa che assomigliava già ad una fotografia, anche se solo mentale. Unico antidoto, dunque, tenere quasi ossessivamente dei diari nel tentativo di fissare ogni momento degno di essere ricordato. Scattare, scattare ogni giorno, questa la sua ossessione: «ogni foto mancata è un rimorso di cui non mi posso consolare». E così fu, senza interruzione, per 85 dei suoi 92 anni di vita.

Nel suo immenso diario è inutile cercare la grande storia: in quegli album non c’è la Grande Guerra, niente nazisti a Parigi, niente bomba atomica, niente. Ci sono però tanti scherzi in villeggiatura col fratello e le cugine, e poi partite di tennis, sciate sulle Alpi, golf, cagnolini, vacanze in riviera, lusso, spensieratezza, ci sono le grandi passioni futuribili degli anni ruggenti, gli aeroplani, le automobili. Tutto è magnifico nelle sue foto,  lui stesso lo definì, con indulgente consapevolezza, «il mio paradiso senza ombre».In realtà Lartigue non aveva scritto l’immenso diario per divulgarlo, lui sapeva bene che il tempo scorre portandosi dietro tutto, anche  i ricordi e le immagini più liete. A 90 anni disse: «Non ho mai riguardato i miei album. Sono come barattoli di conserva che metto in cant ina. A me piace mangiare frutta fresca». Eppure, percorrendo a passo lento la sua sterminata collezione, viene da dar ragione a Richard Avedon, il suo mentore americano: per il quale Lartigue è «il più ingannevolmente semplice e profondo fotografo nella corta e imbarazzante storia della cosiddetta arte fotografica».

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