I pupi siciliani e un gioiello dell’archeologia industriale nel nuovo corto di Daniele Ciprì

Il regista e pluripremiato direttore della fotografia Daniele Ciprì ha scelto una location eccezionale per la realizzazione del suo ultimo progetto cinematografico dal titolo La Fornace. La cornice, si sa, tra suggestioni e contributi storici, è un elemento imprescindibile nel racconto artistico, qualunque sia la forma con cui questo venga veicolato e, tra un ciak e l’altro, Ciprì ha voluto sottolinearlo. «Palermo è di per sé un luogo magico – ha precisato Ciprì – che da sempre, insieme a Franco Maresco, mi ha ispirato e offerto occasioni eccezionali. Il mio sogno è quello di fare sempre cose gotiche, e questo luogo si presta perfettamente».

Le Antiche Fornaci Maiorana di Palermo, di proprietà di Salvatore Maioranasono uno dei più importanti siti di archeologia industriale della Sicilia (inserito tra l’altro per il suo prestigio all’interno del festival Le Vie dei Tesori) costituito da due fornaci per la produzione della calce viva, articolato su tre livelli compresa un’ampia parte sotterranea scavata nella roccia, scelta dal regista per le riprese del cortometraggio. Protagonisti della storia, scritta dallo stesso Ciprì insieme allo scenografo Fabrizio Lupo e al regista Gianni Cannizzo, sono in puparo Marcello, interpretato da Giorgio Portannese e i pupi siciliani, attori inanimati più o meno inconsapevoli di un futuro – forse non troppo lontano – di disarmante crudeltà che imbriglia lo spettatore in una spirale di emozioni tra speranza e disperazione.

«Il pupo siciliano è il simbolo della nostra cultura – ci ha detto Ciprì – tra aspetti antropologici e tradizione, che ha segnato la mia crescita personale e soprattutto la mia formazione artistica. Con questo lavoro ritorno alle origini per cercare di comprendere il presente ed è questo il messaggio che trasmetto agli allievi della Scuola di Cinema Piano Focale con i quali stiamo realizzando il progetto.

Non avere mezzi è il miglior strumento per sviluppare la fantasia e l’immaginazione per questo scelgo sempre di lavorare sull’immaginario, senza troppi calcoli, in luoghi d’eccezione. Bisogna sempre sperimentare nuove formule; per quanto il cinema sia già stato fatto, non si inventa di certo nulla, mi sento di dover rientrare nel mondo delle immagini, in una dimensione surreale. È sempre l’immagine ad essere da supporto alla storia, con la quale deve stare sempre al passo. La mia carriera si fonda sulle immagini e seguo questo diktat quando dirigo un attore o quando lavoro con altri colleghi. Per me il cinema è fatto di suoni, immagini e qualche parola; spesso i dialoghi sono immensi e inutili».

Capelli arruffati e occhialoni dalla grande montatura nera Daniele Ciprì – che non vive più a Palermo e per questo forse continua ad amarla ha detto sorridendo – non rivela tutto di questo lavoro ma di certo incuriosisce per quanto ha anticipato sul cortometraggio che, una volta terminato, verrà presentato nei principali festival internazionali di settore.

«La Fornace è una riflessione sulla fine, sulla distrazione destinata ormai da troppo tempo verso la Settima Arte: per raccontare questo straniamento ho scelto i pupi che da sempre hanno nutrito la mia immaginazione, insieme al cunto, alle storie e alle battaglie che poi ho visto nei film. Cerco di raccontare, con grande rispetto, qualcosa che di sentimentale ho e nutro verso questo mestiere, tento di farlo con un oggetto inanimato, ovvero il pupo, che animiamo noi stessi, quindi alla fine moriamo tutti metaforicamente. Il finale del cortometraggio non è confortante ma non posso rivelare tutto».

I pupi presenti sul set provengono dalla collezione privata di Vincenzo Garifo, manovratore del famoso puparo Gaspare Canino. Il corto è prodotto da Eikona Film in associazione con Slinkset e Rodeo Drive, cofinanziato dalla Sicilia Film Commission e realizzato con il contributo degli allievi della Scuola di Cinema Piano Focale, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti, il Conservatorio di Musica di Palermo ed Euroform.

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