Dagli scatti più celebri ai viaggi, il grande fotografo americano si racconta: «Quando scattai la foto alla “ragazza afgana” l’occasione si presentò in modo semplice, una di quelle che ti capitano quando casualmente cammini per la strada»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]P[/dropcap]er me è una cosa che avviene senza sforzi, naturale. Penso si tratti di una sorta di chimica, una qualche connessione che accade tra te e il soggetto. Arrivi da queste persone con rispetto, humor, un po’ di confidenza». Steve McCurry racconta così la passione verso ciò che lo ha reso celebre nel mondo: il ritratto fotografico. Incontrato a Siracusa, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Icons” (visitabile fino al 5 novembre 2017 all’Ex Convento S.Francesco D’Assisi) durante la quale ha dialogato con il giornalista Roberto Cotroneo, il grande fotografo americano ha raccontato i retroscena di alcuni dei suoi scatti più celebri e del fascino che i suoi soggetti esercitano su di lui. «La tua passione è contagiosa, loro sentono che qualcosa d’importante sta per accadere e sono genuinamente gentili tanto da concederti un po’ del loro tempo perché capiscono che quel che fai è positivo. Si fidano. C’è una connessione. Una chimica umana che accade e che è difficile da spiegare».

UNA QUESTIONE DI FIDUCIA. Uno sguardo intenso, un’anima avventuriera, una spiccata capacità d’osservazione sono doti che McCurry ha portato in giro per il mondo lungo l’arco di oltre trent’anni scoprendo luoghi, situazioni e persone. Nei suoi ritratti adulti, uomini e bambini vengono rappresentati senza maschere. «La magia – spiega – avviene nel momento in cui il soggetto si fida abbastanza da rivelare la propria personalità in un’espressione naturale, mettendo in luce come fondamentalmente siamo tutti uguali, nonostante da fuori sembriamo così diversi sotto molti punti di vista». Fare lo stesso con le donne in molti paesi medio-orientali è decisamente la parte più complicata di questo suo lavoro e il risultato è spesso una timida e imposta ritrosia.

Peshawar, Pakistan
© Steve McCurry, 1984

LA RAGAZZA AFGANA. «Mi trovavo in un campo di rifugiati in Pakistan. Una mattina andai in una scuola femminile, stavo camminando e la prima cosa che ho vidi fu questa ragazza con degli occhi meravigliosi. Subito avvertii il desiderio di fotografarla perché era davvero inusuale». Nasce così lo scatto che ha consacrato Steve McCurry nell’olimpo della fotografia mondiale: il ritratto di Gula Sharbat, meglio nota come la “Ragazza Afgana”, pubblicato nella copertina di giugno 1985 del National Geographic. «Parlai con l’insegnante – racconta ancora McCurry – e ottenni il permesso di fotografarla, ma avevo paura di spaventarla. Allora ritrassi prima alcuni suoi compagni, in modo tale da ambientarla, e poi scattai delle foto a lei. Era la prima volta in assoluto che veniva fotografata». Non fu però una conversazione di sguardi molto lunga. «Ebbi il tempo di realizzare quindici foto – continua – poi, senza preavviso, lei si alzò e andò via. Non avevamo concordato nulla e il photoshoot era finito. L’occasione si presentò in modo semplice, una di quelle che ti capitano quando casualmente cammini per la strada».

I VIAGGI E IL FASCINO DELLE CULTURE DIVERSE. Nei ritratti di Steve McCurry a colpire sono i dettagli: un certo sorriso, una risata particolare, un tipo di arricciatura delle labbra, un’espressione, spesso inconsapevole. Ad alimentare la sua voglia di raccontare le persone attraverso i loro visi, tuttavia, spesso è stato l’incontro con culture diverse dalla sua. Pakistan, Afghanistan, Thailandia, Tibet, Birmania, Brasile, India, sono alcuni dei luoghi in cui il fotografo ha trascorso la maggior parte della sua carriera. «Se penso al mio primo incontro con i monaci buddisti in Tibet – racconta ancora – sono diverse le cose che mi sono rimaste impresse. Graficamente sono già interessanti grazie al colore delle vesti, poi c’è un aspetto spirituale molto interessante che li fa essere in una continua ricerca per migliorarsi, come se fosse la loro missione. Una parte mistica-spirituale e una parte fisica: uno straordinario mix. Possiedono una qualità calmante e meditativa».

ISTINTO, INTUITO ED ESPERIENZA. «La situazione era vera ma qualche volta devi prendere dei rischi», dice parlando del suo incontro con i Mujaheddin e di come ha avuto fiducia nel suo primo istinto che sarebbe andato tutto per il verso giusto. «Era un’opportunità, un’avventura, una storia importante perché c’era molto di più in realtà di ciò che era noto. Sapevo che erano persone genuine». La voglia di avventura e di avere qualcosa d’interessante da fotografare fanno superare le paure, anche quelle relative all’essere beccati a scattare in luoghi banditi: per questa ragione il fotografo racconta di essere stato in prigione per ben due volte in Pakistan, anche se per pochi giorni, e che «il problema vero dell’essere reclusi è la durata perché hai paura che possano essere mesi o anni». Un’altra volta, ci spiega ancora, nelle ferrovie indiane, ha affidato la sua vita nelle mani di un neo-assistente che lo teneva saldamente per le gambe al fine di fotografare, sporto dal finestrino di un treno, una coppia di camerieri che si passava i piatti della colazione dalla finestra.

Rangoon, Birmania ©Steve McCurry, 1994

I PROGETTI FUTURI. Attualmente Steve McCurry è al lavoro su un progetto che ha come contesto New York. «Ogni volta che ho tempo vado in un parco chiamato Washington Square Park perché è pieno di vita e penso che potrei spendere più tempo a fotografare lì». L’artista ha invece rimandato la sua idea di raccontare il Messico: «Ciò che è accaduto – conclude – è ridicolo. Il mio focus, su un progetto che sarebbe dovuto durare cinque anni, avrebbe dovuto essere la cultura del luogo e la sua diversità, oggi invece rischierebbe di diventare un muro».

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