Un brano onirico e surreale che parla per immagini ed evoca paesaggi urbani grigi e affollati. Il ritmo ossessivo e incessante della città produttiva e in movimento, fra il pulsare del traffico, le folle che si accalcano in metropolitana, il ticchettio di orologi che scandiscono esistenze in perenne affanno. C’è questo e molto altro in “Angelo Verde”, il nuovo singolo della cantautrice Beatrice Campisi, tratto dal suo ultimo album “Ombre”. Un disco in cui le sonorità catapultano l’ascoltatore al centro del caos cittadino grazie ai movimenti del basso, dagli intrecci acidi e distorti di chitarre elettriche e dai suoni sintetici, che passano dai momenti rarefatti delle strofe a crescendo strumentali che esplodono in ritornelli scanditi dal martellare ostinato della batteria. Così come accade nel video firmato da Lù Magarò che accompagna l’uscita del singolo.

Ombra, come accade in “Angelo verde”, è anche il senso d’affanno generato dalla frenesia di una metropoli come Milano

Proprio “Ombre” viene presentato come un disco folk dal sound internazionale ma che rimane ancorato alle radici, che si muove tra sonorità acustiche ed elettroniche, tra l’italiano e il dialetto siciliano. Voce e corde in primo piano e poi synth, con punteggiature che riportano alla tradizione affidate al marranzano, ma anche alla fisarmonica e, guardando Oltreoceano, al banjo. Prodotto da Alosi, l’album, rispetto al disco d’esordio di Beatrice Campisi, segna un cambio di passo a livello musicale, ma testualmente rimane fedele al suo modo di intendere la canzone, introspettivo e onirico. Il filo conduttore del disco è proprio il tema delle ombre, inteso ora come elemento evanescente, inafferrabile, quasi nostalgico di un tempo irripetibile dell’infanzia, come nel brano “Cummaredda” (che trae ispirazione da un’antica filastrocca e tradizione siciliana), ora come doppio, come in “L’altra lei” (brano che parla di fragilità e dualismo interiore), ora come ombra oscura del passato da lasciar andare, far scorrere via, come in “Gondole di carta” e “Cambiamento”.

La copertina del disco

Nella canzone che dà il titolo all’album, le ombre sono quelle di due innamorati proiettate sull’asfalto, che si allungano, come le loro anime, in cerca l’una dell’altro; in modo simile in “Ventu”, l’ombra sottile delle foglie scosse dal vento diventa l’ispirazione per un omaggio alla potenza vivificatrice della natura nelle diverse stagioni. Ma l’ombra è anche metafora di invisibilità, come quella dei detenuti nelle carceri (canzone “Zoo”), o come senso di affanno e ansia dovuto alla frenesia del presente, al ritmo ossessivo e incessante della città produttiva, in movimento, fra metropolitane e traffico (proprio come nella surreale “Angelo Verde”). Una metropoli come Milano, dove Beatrice un pomeriggio si trovava immersa in un flusso velocissimo di impegni, quando improvvisamente lo spazio si è dilatato, il tempo si è fermato in un loop ipnotico e si è trovata ad immaginare le vite delle persone intorno a lei.

«Per un momento il confine tra sogno e realtà, verità e finzione, mi è parso sottilissimo, impercettibile. Così è nato il disco»

Beatrice Campisi

«Così è nato ‘Ombre’ – ci dice la stessa autrice -. Per un momento il confine tra sogno e realtà, verità e finzione, mi è parso sottilissimo, impercettibile, come se i concetti di vuoto e pieno potessero essere interscambiabili. Ma è stato solo un attimo: poi le porte si sono aperte alla frenetica routine quotidiana e la magia è svanita. La suggestione però è rimasta».

Una suggestione che ha portato alla definizione proprio del singolo “Angelo Verde”, che stando a quanto ha dichiarato in una nota la stessa Campisi, «ha dato origine al brano più rock dell’album dall’incontro fra i miei esperimenti con la chitarra acustica, il basso ossessivo di mia sorella Elisabetta, con la quale convivevo all’epoca, e l’arrangiamento psichedelico di Alosi». Se da un lato dunque “Angelo Verde” rappresenta una particolarità all’interno del disco, dall’altro possiede una caratteristica in comune con gli altri brani, ovvero il fatto di parlare per immagini ed evocare sensazioni. Un tratto della scrittura di Beatrice che sembra ritrovarsi sia nelle canzoni propriamente folk, sia in quelli più introspettivi o aderenti a tematiche sociali.

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