Interprete raffinato e musicista dalla inesausta curiosità e desiderio di esplorare sempre nuovi orizzonti, Peppe Servillo non ha di certo bisogno di molte presentazioni. Da quarant’anni è il volto della Piccola Orchestra Avion Travel, formazione che della costante ricerca di nuovi registri, dagli esordi rock fino alla vena jazzistica degli ultimi anni, ha fatto un proprio marchio di fabbrica. Mai sazio di sperimentare, dal 2004 Servillo condivide con due musicisti argentini di assoluto pregio, il sassofonista Javier Girotto e il pianista Natalio Mangalavite, un progetto musicale a cavallo tra la tradizione dell’America Latina, il jazz e la canzone d’autore. Un’identità sonora che la formazione italo-argentina ha infuso in tutti e quattro gli album a loro attivo, l’ultimo dei quali si intitola “L’Anno che verrà”: un percorso di diciannove tracce dedicato a Lucio Dalla nel quale il trio rilegge alcuni dei più apprezzati brani dell’artista bolognese. Un sentito omaggio che dal 2021, anno di uscita del disco, Servillo e compagni portano in concerto in giro per l’Italia. Domani L’Anno che verrà farà tappa a Noto, con un live inserito nel cartellone del Festival Internazionale “Notomusica”. Abbiamo colto l’occasione per fare due chiacchiere con l’artista.

Una delle cifre del trio che la vede protagonista insieme a Javier Girotto e a Natalio Mangalavite è la diversità dei vostri percorsi musicali. A dispetto di ciò, la vostra collaborazione è tutt’altro che episodica. Qual è il terreno comune che ogni volta vi permette di trovare una sintesi?
«A guidarci è sempre stata la ricerca di un’idea di canzone che riuscisse a contenere tutte le sfumature delle nostre origini musicali. Di questa miscela sono elementi fondamentali non solo la cultura argentina che accomuna Natalio e Javier, ma la loro affinità con il jazz e la naturalezza dell’improvvisazione. Inoltre, mentre Natalio ha molta familiarità anche con la scena pop, Javier, oltre ad essere uno dei solisti oggi più apprezzati, ha sperimentato con la musica popolare».

L’influsso del jazz è stata una costante di tutti i vostri lavori insieme, a cominciare da “L’amico di Cordoba” del 2004. In tal senso, “L’Anno che verrà” non fa eccezione. 
«Reinterpretare i successi di Dalla è stato per noi quasi un approdo naturale. Lucio, del resto, era un assiduo frequentatore del jazz. Accanto a questo influsso, nel disco è molto forte anche quello della musica latino-americana: una scelta che spero sarebbe piaciuta anche a lui. Ciononostante abbiamo voluto sempre rispettare la sua scrittura musicale e dei testi, e ogni volta che ci esibiamo le sue canzoni sono perfettamente riconoscibili».

Il titolo del disco rimanda ad uno dei brani più indimenticabili di Dalla. Qual è stata la sua gestazione? E che significato ha, per voi, tributare alla sua memoria questo omaggio portando i suoi brani in concerto?
«Lucio ha sempre avuto la capacità di dare una lettura poetica del futuro. Un talento che emerge in molte delle sue canzoni e che in “L’Anno che verrà” assume la forma di un auspicio che ci è sembrato perfetto per dare il nome al disco. Sebbene il progetto sia nato durante la pandemia, in un periodo nel quale non si potevano fare di certo piani per esibizioni live, in quanto musicisti portare in concerto i suoi brani è per noi un momento estremamente gratificante. Dopotutto, ciò che ci ha guidati nel realizzare il disco non era appena l’intenzione di omaggiare un grandissimo artista, rinsaldandone lo status nel Pantheon dei cantanti più amati di sempre, ma di vivificarne in qualche modo l’eredità artistica e musicale».

Giovedì avrete ancora una volta modo di farlo in una terra molto cara a Dalla. Che emozione sarà esibirvi a Noto con la sua musica?
«Il legame di Lucio con la Sicilia è sempre stato molto forte. E questo suo amore, così come quello per Napoli, emerge chiaramente nella sua scrittura e nella sua musica. Siamo felici di poter proporre il suo repertorio a Noto: per noi non è solo importante, ma anche un passaggio che, alla luce dei suoi rapporti con questa isola, è del tutto naturale».

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