«Si stava meglio quando si stava peggio». Si, ma quando esattamente? È il momento di rispondere, una volta per tutte, a quella zia che non fa altro che ripeterlo. Così, alla prossima occasione, potrete rasserenare tutti, assumere un tono risoluto e chiarire, numeri alla mano, che stavamo peggio nel 2009 e meglio nel 1995. Anche se qui a Catania, negli ultimi trent’anni, siamo sempre stati così così. A rivelarlo è Il Sole 24 ore con la consueta classifica sulla qualità di vita. Un ranking forse discutibile ma che, ancora oggi, rappresenta l’unico strumento in grado di scattare una fotografia nazionale su chi se la passa bene e chi un po’ meno. L’ultimo report, risalente a dicembre 2020, ci metteva al 90° posto, ma questa è già una storia vecchia. La storia che vale la pena di leggere, invece, è quella che ci vede, in tre decadi, crescere solo di cinque posizioni e che ci fa tornare indietro di ventisei anni per trovare un po’ di gloria.

LA SEATTLE ITALIANA. Nel 1990 eravamo appena novantacinquesimi e nel corso dei decenni abbiamo sempre girato intorno al centesimo posto, con un 2009 maglia nera assoluta in cui eravamo alla posizione 104. Il massimo splendore, Catania, lo avrebbe avuto nel 1995 quando, per la prima volta, toccava la posizione 81 ma – soprattutto, e questo è il dato che salta all’occhio – diventava il secondo Comune italiano per trasferimenti di residenza da altre province. Ma come mai? Perché tutti volevano venire a vivere sotto l’Etna? Sarebbe fin troppo facile parlare della “raggiante Catania” del 1995, quella cantata da Carmen Consoli. Certo, c’erano i REM e i Radiohead allo stadio Massimino, era il periodo della vivace scena musicale e notturna, dei pub che aprivano, del “siamo la Seattle d’Italia”. Eppure, se guardiamo gli indicatori del 1995 inerenti a Cultura e Tempo libero, scopriamo che Catania era solo 59ª, ben lontana dalla top ten italiana. Troppo poco per spingere un giovane di Padova a fare la valigia e a venire al Sud.

I NUMERI MENTONO? Potremmo allora parlare di lavoro e immaginare fiumi di emigrati fare ritorno a casa. In fondo, in quegli anni nasceva la Etna Valley e si insediavano le multinazionali dell’elettronica che facevano immaginare un futuro di auto volanti sopra la spiaggia libera numero due. Ma anche qui, sul fronte Affari e Lavoro, il ‘95 segna un tiepido 78° posto. Non eravamo particolarmente ricchi (solo 78esimi alla voce Ricchezza e Consumi) e nemmeno le leggendarie fioriere di Enzo Bianco facevano la differenza (82esimi in Ambiente e Servizi). Catania non era una città sicura (12.6 rapine in banca ogni 100 sportelli, 12ª in tutto lo Stivale per numero di truffe), le case costavano quasi 2 milioni e 300 mila lire al metro quadro (c’erano 47 città in Italia più convenienti della nostra) e ogni mille imprese si segnalavano 22 fallimenti. 

UNA QUESTIONE DI CUORE. Definire cosa accadde in quello strano 1995 non è semplice. E non è facile nemmeno rispondere alla domanda sul perché Catania sembrava una così bella città in cui vivere. Dove non vengono in aiuto i numeri (nessuna cifra del report sulla Qualità di Vita può far emergere un’attrattività talmente forte) può venire in aiuto il cuore. Perché in quella Catania del 1995, in cui faceva più freddo di adesso (otto gradi in meno di media ad aprile) e in cui la squadra di casa era appena in C2, c’era una cosa che non poteva essere tracciata da alcuna statistica: l’entusiasmo. Perché se è vero che quell’anno aprivano il Mcintosh e il PalaCatania è altrettanto vero che le birre e i concerti li avevamo anche lo scorso anno. Quello che ci manca e che segna la distanza da quel periodo, probabilmente, è quel senso di fiducia verso il domani, quell’ottimismo collettivo che ai tempi faceva pensare che tutto sarebbe stato possibile, che gli anni a seguire sarebbero stati solo migliori.
Nel 1996, la nostra qualità di vita ha perso cinque posizioni e l’anno dopo ne ha perse altre nove. Una caduta libera, progressiva e graduale, di numeri e sogni.

Sì, il 1995 è l’anno in cui abbiamo vissuto meglio. Ma la verità è che la nostra qualità di vita, secondo i dati, non è mai stata un granché. E questa classifica, che ci vede praticamente immobili da trent’anni, non rende giustizia a una città che ci piace immaginare frenetica e viva, e forse anche per questo penalizzata.
Se possiamo imparare qualcosa da questi numeri e dal 1995 è che la differenza tra vita di qualità e qualità di vita, passa per i numeri ma anche per i sogni.

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