A pochi passi dalla stazione centrale della città etnea, una fontana cattura l’attenzione dei passanti. Si tratta dell’opera raffigurante il ratto (dal latino raptus, “rapire”) di Proserpina, realizzata da Giulio Moschetti. Lo scultore, proveniente da Ascoli Piceno, si trasferì a Catania nel 1878 e qui rimase fino alla sua morte, avvenuta nel 1909. A lui si deve anche la realizzazione della fontana di Diana, posta nella piazza Archimede di Siracusa, “che narra la leggenda di Aretusa. La ninfa è raffigurata nell’atto di fuggire da Alfeo che, con le braccia protese, cerca di afferrarla. Diana, ieraticamente al centro del gruppo, fa scudo alla giovinetta”, come si legge nella pagina dedicata del Comune. Al figlio Mario, che seguì le sue orme, si deve invece il gruppo scultoreo posto sopra il terminale del Teatro Vincenzo Bellini di Adrano, che “rappresenta l’anima del Teatro in forma allegorica, da sinistra verso destra: La Tragedia, la Musica e la Commedia”. 

IL MITO. La fontana, inaugurata nel 1904, è composta da una grande vasca con al centro i due personaggi mitologici, realizzati in cemento: Plutone, alla guida di un cocchio trainato da cavalli e sirene, nell’atto di rapire Proserpina. Una scena suggestiva e dotata di movimento grazie alle opere scultoree e ai getti d’acqua zampillante posti a corona (un impianto idrico rafforzato nel 1979). Si narra che Proserpina, nota anche come Persefone o Kore (“fanciulla”), figlia di Cerere, la dea della fertilità,  e di Giove, mentre raccoglieva fiori sulle rive del lago di Pergusa, nei pressi di Enna, venne rapita da Plutone, a guida della sua biga trainata da cavalli e sirene, che la costrinse a diventare sua compagna e regina dell’oltretomba. “La dea atterrita/chiama con voce triste le compagne e la madre, ma più la madre./ Si lacerò la veste all’orlo di sopra,/ e dalla veste allentata caddero i fiori raccolti;/ e tanto candore c’era nei suoi giovani anni/che anche questa perdita causò dolore alla vergine”, racconta Ovidio nelle sue Metamorfosi. A correre in suo aiuto, la ninfa Ciane, che addolorata dalla sorte di Proserpina, si trasforma in fonte (“Infine l’acqua prese il posto del sangue nelle vene disfatte, e non restò più nulla che si potesse afferrare”). La madre cerca sua figlia, il dolore e la disperazione si manifestano, secondo la leggenda, sotto forma di gelo e carestia per gli uomini sulla terra. Mosso dalle suppliche e dalle preghiere di Cerere, Giove interviene per riportare Proserpina in superficie, ma un fatto le impedisce di tornare definitivamente: la dea ha mangiato alcuni chicchi di melagrana, legando così se stessa agli Inferi per l’eternità. Giove le permette quindi di emergere dall’aldilà solo per sei mesi all’anno, dalla primavera all’estate, potendo così rivedere la madre Cerere che, colma di gioia, dà vita alla terra colmandola dei suoi frutti. Un’immagine di rinascita che ritroviamo anche nella poesia Sono nata il ventuno a primavera di Alda Merini: “Così Proserpina lieve/ vede piovere sulle erbe,/ sui grossi frumenti gentili/e piange sempre la sera./ Forse è la sua preghiera”.

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