«Niente sarà come prima, ma vedremo se qualcosa diventerà meglio di prima». È la previsione di Beppe Sala, il sindaco di Milano, per il dopo Coronavirus. Il Covid-19 ci cambierà per sempre, economicamente e socialmente, come non è riuscito al terrorismo politico, allo shock petrolifero, all’islamismo radicale, alla crisi finanziaria. Sarà l’inizio di una nuova èra. Ci sarà il mondo a. C. e quello del d. C., prima e dopo il Coronavirus.

«Il Coronavirus sarà sotto certi aspetti come le piene del Nilo, che al tempo degli antichi egizi distruggevano tutto per poi lasciare il terreno più fertile», commenta Matteo Bertini, direttore Mediashopping (Mediaset), parlando con Financialounge.com. «L’epidemia sta costringendo la società ad adottare strumenti nuovi, che ci ritroveremo tutti in eredità una volta passata l’emergenza».

Per il sindaco di Milano, come ha detto in una intervista al Corriere della Sera, sarà «una ripartenza graduale che non esclude stop and go». E bisognerà riprogettare il sistema sanitario, quello della mobilità, le infrastrutture digitali, gli spazi di grande concentrazione, dagli stadi ai cinema. Velocizzare e semplificare una democrazia che rischia di morire per il virus della burocrazia. Una nuova ricostruzione, come nel Dopoguerra.

È anche vero che dopo i periodi bui, di conflitti bellici, dopo privazioni e limitazioni alle libertà personali, seguono esplosioni di gioia, prevale la voglia di divertirsi, d’incontrarsi, di abbracciarsi, ma questa è una guerra che non lascia soltanto lutti e macerie: segnerà profondamente le nostre abitudini, i nostri stili di vita.

Difficilmente torneremo nei centri commerciali, in piazza, in aereo senza le precauzioni di questi giorni. L’Amuchina e la mascherina rimarranno a portata di mano. Ci penseremo due volte prima di lasciarci andare a baci, abbracci e pacche sulle spalle. Molto probabilmente adotteremo comportamenti più distaccati simili a quelli dei popoli del Nord Europa dove c’è molto meno contatto. Ci saranno cambiamenti che rimarranno a lungo e ci dovrebbero far riflettere sulla grande fragilità di tutto il nostro sistema. La tecnologia ci ha portati a pensare di essere onnipotenti. Poi arriva un affare minuscolo e mette in crisi tutto. Però, come si augura Sala, le nostre nuove condizioni di vita possono anche diventare degli stimoli, cambiare le modalità lavorative e i sistemi di spostamento nelle nostre città.

Ci sarà un altro Dopoguerra, durante il quale bisognerà ricostruire il Paese dalle fondamenta. Molti, se non sono già corsi ai ripari, saranno costretti a riconvertire le proprie attività, adeguandole alle nuove esigenze.

Sta già accadendo nel mondo del lavoro. Nel provvedimento del governo dell’8 marzo scorso si parla esplicitamente di favorire il lavoro agile. Il telelavoro (o smart working) richiede alle aziende, in primis allo Stato, un investimento strutturale massiccio per creare adeguate postazioni di lavoro da remoto: dotazione di un pc, possibilmente la banda larga, lavorare su una piattaforma online integrata. Il frutto di questi investimenti aprirà gli uffici a collaborazioni da remoto che potrebbero aumentare la produttività, eliminando lo stress (e i costi) degli spostamenti fisici. Potremo scegliere di vivere fuori dalle metropoli, in un casolare come in un piccolo borgo, continuando ad essere produttivi e connessi.

Si trasformerà anche la scuola. Che da luogo fisico da raggiungere, nell’era della distanza imposta, diventa un insieme di tecnologie dell’apprendere da ricreare nel soggiorno o nella cucina di casa. Uno spazio intimo, individuale, non più collettivo come per sua natura, che deve essere costruito da zero: un compito arduo per docenti, genitori, nonni e studenti, impreparati all’idea che quella che ieri era una lontana opportunità spesso anche tenuta a debita distanza – l’uso della tecnologia – oggi sia diventata di colpo una improrogabile necessità.

Saremo sempre più connessi. E saremo ovunque. In futuro gli happening diventeranno eventi streaming e le conferenze stampa saranno accessibili dal nostro pc. Sempre. Ma probabilmente perderemo il valore dell’esser fisicamente in un posto. Sembrerà di abitare in un mondo virtuale. Avremo la possibilità di essere digitalmente ubiqui, seguendo la presentazione di un libro dalla casa dell’autore a Torino e al contempo, un concerto da New York. Saremo sempre online.

Gli appuntamenti di #iosuonodacasa o di #togetherathome ricreano un rapporto più intimo e diretto con i protagonisti della musica. Una strada che Bruce Springsteen aveva già intrapreso con i suoi spettacoli a Broadway in un teatrino di 900 posti e che Gianni Morandi ha seguito in Italia. Artisti come Christine and The Queens stanno incoraggiando i fan a incontrarsi su Instagram per esibizioni ad hoc, e, secondo quanto riferito, 13.000 persone hanno visto la band punk hardcore Code Orange stream su Twitch al posto di un concerto cancellato. Da Alfio Antico, Eleonora Bordonaro e Mario Venuti a Bob Dylan, Bono, Sting, sono stati in tanti a regalare canzoni o esibizioni in streaming. Tra i pochi a esimersi è stato Nick Cave: «Questo è il momento di farsi da parte e usare questa opportunità per riflettere su quale esattamente sia la nostra funzione, che cosa, come artisti, siamo qui a fare», ha spiegato sul web.

Molto probabilmente le dirette streaming hanno portato fra i velluti delle poltrone del Bellini e del Massimo persone che non erano mai entrate in un teatro lirico. Nuovi modi di usufruire dell’arte che stanno sperimentando associazioni, compagnie teatrali, musei come quello Egizio di Torino che sulla sua pagina Facebook ospita brevi video volti a spiegare alcuni oggetti della collezione in una prospettiva contemporanea, così come il Guggenheim di Venezia che sui suoi canali social presenta quotidianamente i capolavori custoditi a Palazzo Venier. Con “Triennale Decameron: storie in streaming nell’era della nuova peste nera”, il Palazzo dell’Arte propone quotidianamente alle ore 17 sul profilo Instagram del museo una serie di appuntamenti con designer, architetti, musicisti e artisti, mentre attraverso il progetto “Appunti per una resistenza culturale” la Pinacoteca di Brera invita tutti a scoprire con veloci spiegazioni i dietro le quinte del corpo museale milanese, così come il MAXXI di Roma, con la creazione del palinsesto online “Liberi di uscire col pensiero”. Ed è un intrattenimento culturale che si sposta online anche “Decameron”, il primo festival letterario digitale italiano nato da un’idea di un gruppo di scrittrici tra cui Michela Murgia, strutturato con incontri in diretta Facebook.

Ognuna di queste esperienze è a libero accesso, ma diversi artisti stanno sperimentando la monetizzazione. Nel futuro, come già aveva previsto David Bowie, i concerti come i film li potremmo vedere in questa maniera: prime mondiali trasmesse simultaneamente in diretta streaming nelle case di milioni di persone. A pagamento, ovviamente. È quello che già avviene nella televisione on-demand e che si potrebbe applicare anche all’arte in generale.

Certo, in questo scenario, la già ridotta socializzazione viene definitivamente sostituita dalla socialità. Tenderemo ad interagire con altre persone, non a inserirci nel loro ambiente. Insomma, manterremo quel metro e oltre di distanza che oggi ci impone il virus. E saranno sempre più i social network a simulare la nostra socialità.

Scompariranno i palinsesti tv, sarà tutto on-demand. Il giornale cartaceo sparirà, rimpiazzato dall’abbonamento online. Già molte testate hanno trasformato i propri siti nel core business a discapito della parte cartacea: si pubblica prima online e poi anche su carta.

L’e-commerce fagociterà molti esercizi, i droni consegneranno le merci ordinate automaticamente dai nostri elettrodomestici connessi e mentre i pagamenti completamente digitalizzati e tracciabili saranno il rimedio perfetto contro l’evasione fiscale, spetterà agli esercenti potenziare le piattaforme di acquisto tramite Instagram, con un catalogo da sfogliare in tempo reale, magari dietro suggerimento di un commesso virtuale configurato sulle nostre preferenze. Questa esperienza, inoltre, dovrebbe far comprendere ai consumatori il loro potere latente e richiedere una produzione di beni più adatta alle esigenze di un vivere sano piuttosto che essere i sudditi ubbidienti del mercato che stabilisce quali sono e quali non sono le esigenze del cittadino. Consumare meno, consumare meglio. Consumare meno cibi iperproteici, hamburger o polli “pompati” con antibiotici, che ci abbassano le difese immunitarie.

Cambierà anche la ristorazione. Sarà eticamente sostenibile. «Le persone dovranno trovare il calore di una famiglia, la storia e la cultura di un paese, e quelle sensazioni vere», prevede Marco Sacco, chef da due stelle Michelin, in una intervista al Corriere della Sera. «Quello che sogno è mettere nel piatto ciò che la natura ci mostra, quello che il cliente vede con i suoi occhi dal vetro della finestra. Ora stiamo distruggendo il mondo, e il mondo ha detto basta. Questo virus dovrà farci talmente male che non avremo altra alternativa che tornare al passato con l’intelligenza di oggi. Basta fare le ricettine a casa, pensiamo, e tiriamo fuori qualcosa che possa essere il futuro».

E, infine, affideremo la nostra salute ai robot e alla telemedicina con la cura a distanza. In India, ad esempio, stanno affrontando l’emergenza Covid-19 con l’uso di automi che distribuiscono gel disinfettante e mascherine negli uffici pubblici, dando informazioni alle persone sulla prevenzione. Presto potremo contare su numerose app tramite le quali avere sempre a disposizione non un semplice forum ma una vera equipe medica, specialisti h24 per ogni nostro dubbio, per ogni possibile diagnosi, cancellando i tempi morti delle attese e i contatti in sala d’aspetto, tutelando la nostra privacy, abbattendo le liste d’attesa e offrendo il massimo della professionalità. E in futuro sarà possibile eseguire interventi chirurgici a distanza in modo diffuso grazie alla tecnologia 5G.

Cambierà anche la politica. Perché dopo aver vissuto la paura vera, quella del contagio, sapremo distinguere quelle false dell’“uomo nero”, del migrante, del diverso, dei vaccini. E la speranza è che la riflessione esistenziale di noi italiani, 60 milioni di persone in prima linea nelle trincee della pandemia, ci porti a salvare il pianeta dall’impazzimento del clima e ci faccia tornare ad essere umani.

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