In queste settimane la comunità lgbt ha dato voce alle sue richieste con i tradizionali gay pride organizzati in molte città italiane. Quali sono i principali esiti di tanti anni di lotta? E in che modo è cambiato in questi anni il movimento? Di diritti e status quo dell’universo lgbt abbiamo parlato con Giovanni Caloggero, presidente dell’Arcigay Catania, ed Emanuele Liotta, segretario dell’associazione di volontariato Queers

 Il “19 giugno 2018” un giorno entrerà nei libri di scuola, sebbene per il momento sia una data insignificante per la maggior parte delle persone. Il 19 giugno 2018 è stato infatti aggiunto un tassello importante nella lotta per i diritti della comunità lgbt: l’Oms ha rimosso la transessualità dalla categoria dei disordini mentali e tra qualche decennio le nuove generazioni forse rideranno di quell’assurda classificazione. Questa leggerezza però non appartiene ancora al nostro presente, oggi siamo solo a metà del percorso. «La strada è ancora lunga, – commenta Giovanni Caloggero – lo conferma la stessa legge Cirinnà che ha tradito le nostre aspettative concedendo dei diritti che sono tali solo per metà. Oggi è necessario soprattutto ripensare radicalmente le strategie e i metodi della lotta, interagire con tutta la società, superando una visione segmentale del problema e scendendo in campo per i diritti di tutti, tanto dei migranti, quanto dei disoccupati». Un punto quest’ultimo su cui è d’accordo anche Emanuele: «oggi è necessario ragionare nei termini di lotta intersezionale. Un buon movimento LGBTQIA può dirsi tale quando punta non solo alla tutela non di una minoranza, ma di tutte le divergenze rispetto al modello predominante, ovvero maschio, bianco, etero; ecco perché ad esempio la nostra associazione ha aderito al movimento “non una di meno” e lotta per l’introduzione dell’aggravante per qualsiasi violenza a sfondo omofobo, maschilista, transfobo».

LE NUOVE GENERAZIONI E LA LOTTA PER LA PARITA’ DEI DIRITTI. La psicologa americana Jean M. Twenge nel libro “Iperconnessi” così parla dell’inclusività lgbt tra i più giovani: «dalle identità lgbt, al genere, all’etnia, i giovani si aspettano parità di trattamento e spesso sono sorpresi, e anche scioccati, quando ancora gli succede di trovarsi di fronte a pregiudizi». D’altro canto – sottolinea la Twenge – gran parte della loro lotta si limita al slacktivism, come viene definito l’attivismo da tastiera, e mostrano scarsa propensione a scendere nelle piazze per i diritti dell’altro. Per Emanuele, esponente di una generazione vicina a quella studiata dalla psicologa, si tratta di una generalizzazione che nasce dal pregiudizio nei confronti dei millenials e della generazione successiva. «Le nuove associazioni sono costituite in maggioranza da giovani, in Queers ad esempio una delle menti più brillanti ha da poco compiuto 18 anni. Il problema risiede piuttosto nella spaccatura che si è generata nell’ambiente associativo italiano tra le nuove comunità che abbracciano la teoria queer, e l’attivismo vecchio stampo che, crogiolandosi nei successi ottenuti, non intende mutare prospettiva. Bisogna capire che lotta non ha età e non va certo schiacciata su un’unica generazione ma studiata nelle sue varie forme tra cui l’attuale attivismo virtuale, che sfrutta internet come in passato si è fatto per altri media, giornali, radio, televisioni».

Essere gay nell’epoca del “Pride”: «Abbiamo davvero bisogno di metterci in mostra?»

I giovani sono in ogni caso i cittadini del domani e ogni forma di sensibilizzazione deve eleggerli quale destinatari favoriti. Lo sa bene il presidente dell’Arcigay che commenta: «La nostra associazione si rivolge preferenzialmente ai giovani. Ogni anno organizziamo un campeggio con la Cgil e la Rete degli Studenti Medi; a volte il seme è gettato in campi non fertili, altre volte mette radici profonde. Promuoviamo inoltre incontri nelle scuole per parlare non solo di omofobia, ma anche di bullismo, sessualità, prevenzione».

ORGOGLIO E PREGIUDIZIO DEL GAY PRIDE. «Ogni anno, regolarmente in occasione della parata per i diritti lgbt – riflette Caloggero – emerge la critica di chi vorrebbe un gay pride in giacca e cravatta, proponendoci quello stereotipo etero normativo a cui noi rifiutiamo di uniformarci. Questa manifestazione ha poi una precisa storia ancora oggi poco conosciuta; il 28 giugno 1969 la polizia irruppe nel locale gay “Stonewall inn”, nel Greenwich Village, frequentato da drag queen, afro-americani, portoricani e ispano americani che decisero di reagire. Leggenda vuole che sia stata la transessuale Sylvia Rivera a insorgere per prima, lanciando un tacco 12 o forse una bottiglia». Anche Emanuele ricorda la vicenda di Stonewall ma ci tiene a precisare: «oggi la classica dicitura “gay pride” incontra il malcontento di associazioni come la nostra che mirano ad un orgoglio più generale; non a caso il movimento nazionale si chiama “Onda pride”. Un orgoglio che si esprime anche con piume o trucco, ma senza dimenticare che non tutti i partecipanti vanno in abiti vistosi e che in ogni caso il discorso sul decoro si ripropone solo in merito alla categoria lgbt, mai di fronte alla volgarità televisiva a cui assistiamo quotidianamente».

«A differenza del carnevale – riflette Giovanni – noi non indossiamo le maschere ma le togliamo, e credo debba destare molto più scandalo l’intervista ai Casamonica di Porta a Porta, o la nave Acquarius abbandonata in mare aperto».

 

 

 

 

 

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