La cult band catanese, punta di diamante del noise, il 25 e 26 maggio festeggia il compleanno con due concerti evento. «Apriremo entrambe le serate per poi lasciare spazio agli amici che sono venuti a trovarci». Sul palco gruppi come Shellac e June of 44, in platea fan in arrivo persino da Usa e Ucraina. «Nuovo disco entro la fine dell’anno». «Catania non è mai stata la Seattle d’Italia»

Se Neil Young “rockin’ in the free world”, gli Uzeda “rockin’ free in the world”. Liberi da condizionamenti, pressioni, mode, tendenze. «Trent’anni fa giurai a me stesso che non avrei mai sottomesso la mia libertà e la mia passione al denaro, al business, ed ho tenuto fede a questo giuramento» dice oggi con l’orgoglio e la faccia da capo indiano Agostino Tilotta. Una vita dedicata alla musica, alla ricerca sonora, alla chitarra, a combattere i visi pallidi. Gli Uzeda, il gruppo che trent’anni fa Agostino formò insieme con la moglie Giovanna Cacciola (voce), Raffaele Gulisano (basso) e Davide Oliveri (batteria), sono diventati una “cult band”. Punta di diamante del noise italiano. Un pezzo di storia del rock catanese. E non solo.

UNA VITA IN GIRO PER IL MONDO. Primi italiani a firmare per un’etichetta statunitense. Primi italiani a suonare al prestigioso festival All Tomorrow’s Parties. Unici italiani assieme alla Pfm ospiti alle John Peel Sessions della BBC. «Ma noi siamo stati chiamati due volte – tiene a precisare Agostino Tilotta – La prima volta abbiamo anche inciso la session, la seconda abbiamo dovuto rinunciare perché eravamo sotto contratto con la Touch&Go», leggendaria etichetta di Chicago, dove sono passate cult band come Calexico, Shellac, CocoRosie, Virgin Prunes e, appunto, Uzeda.
Sono entrati nella top ten dei dischi più venduti in Inghilterra, ma per gli Uzeda la musica non è mai diventata un “mestiere”. Agostino e Giovanna fino a quattro anni fa gestivano un negozietto di dischi nel centro storico di Catania, Oliveri costruisce casse acustiche esportandole in tutto il mondo, Gulisano è professore. «La musica non può essere sottoposta a un salario – sentenzia Tilotta – Vogliamo sentirci liberi di suonare quando e come vogliamo».
Una vita in giro per il mondo, a tenere concerti nei pub o davanti a 20mila spettatori, soltanto per il piacere di suonare. Tant’è che nella loro trentennale carriera hanno inciso soltanto cinque album, e l’ultimo, “Stella”, è del 2006. «Ma entro l’anno faremo un nuovo disco, otto brani sono già pronti» annuncia Agostino. Gli inediti saranno presentati nella due giorni a tutto rock “Uzeda 30th!”, l’evento che si svolgerà il 25 e 26 maggio all’Afrobar di Catania. «Macché evento, soltanto una festa di compleanno con tanti amici» sorride Agostino. E spiega: «Saremo i festeggiati, ma anche gli ospitanti, e per questo motivo ci esibiremo per primi in entrambe le serate. Jam session? No, ogni band farà il suo set… poi chissà…». Quattro gruppi nella prima serata, cinque nella seconda: il punk seminale dei The Ex, la combinazione scientifica di massa, velocità e tempo di Shellac, la poesia dei Black Heart Procession, il suono di culto dei June of 44, il ritorno del post punk firmato Three Second Kiss, i ritmi serrati dei Tapso II e la psichedelia degli Stash Raiders. Annunciato anche un pubblico da festival rock con fan in arrivo perfino da Stati Uniti, Ucraina, Spagna e Grecia. Perché il “culto” per la band catanese varca i confini nazionali.

«Non esiste una musica indipendente. Indipendente è un modo di essere, è lo spirito con cui ti approcci alla musica»

«INDIPENDENTE È UN MODO DI ESSERE». Fieri, integerrimi, mai inclini a compromessi di sorta, gli Uzeda incarnano da sempre l’immaginario del gruppo indipendente. «Che non è un’etichetta – sottolinea Tilotta -. Non esiste una musica indipendente. Indipendente è un modo di essere, è lo spirito con cui ti approcci alla musica. Oggi posso essere spettatore e domani salire sul palco e suonare».
«Bisogna dire che ci sono state alcune parentesi personali – interviene il batterista Davide Oliveri – Agostino e Giovanna hanno creato un progetto americano con i Bellini, io e Raffaele Gulisano abbiamo collaborato con Gianna Nannini nel disco “Aria”», contribuendo al rilancio dell’artista senese.

PROSPETTIVA UZEDA. «Uzeda è la porta di Catania che segna una linea di confine, tra il mare e la montagna, tra la zona popolare e il salotto buono della città: è una prospettiva che cambia non appena volti lo sguardo», spiega Giovanna. Ma Uzeda è anche il nome della famiglia italo-spagnola al centro de “I Viceré”, meraviglioso affresco della Sicilia di fine ‘800. In loro, scrive Federico De Roberto, “la cocciutaggine è ereditaria molto più che l’impressionabilità”. La stessa testarda volontà degli Uzeda, che ha consentito loro di salire dalla periferia dell’Impero rock sino all’America. «All’inizio eravamo contenti: il nostro disco stampato negli Stati Uniti! – racconta Agostino – Ma era questo che volevamo? O volevamo un’altra cosa? Man mano il sogno veniva affinato, ridimensionato».

«La nostra è una musica solare, esprime inquietudine, ma c’è anche il sole, c’è il magma»

Quella libertà, quell’indipendenza, che cercavano, gli Uzeda le hanno trovate tornando sempre nella propria città. «Questa città ci ha dato gli ingredienti – commenta Oliveri – Anche quando suonavamo negli Usa, tutti riconoscevano nella nostra musica un elemento che era diverso dal rock americano, e non perché Giovanna cantava con un cattivo inglese: la nostra è una musica solare, esprime inquietudine, ma c’è anche il sole, c’è il magma».
«I nostri stimoli sono soprattutto qui – aggiunge Tilotta – Nel nostro suono, che a qualcuno può non piacere, convergono tutte le nostre conoscenze: il rock americano, la melodia italiana, la lirica, i testi letterari».

IL LEGAME CON CATANIA. Una città, Catania, che è cambiata dagli anni (correva il 1987) in cui gli Uzeda cominciavano il loro cammino. «Perché non è mai stata quella Seattle d’Italia che è stata descritta dalla stampa – contesta Giovanna Cacciola – Non ha creato un movimento rock, una scena musicale precisa. Negli anni Ottanta c’era una marea di giovani che suonavano nei pub. C’erano meno locali ma più occasioni per suonare e, soprattutto, meno aspettative. Oggi si fa musica per registrare un disco o per raggiungere il successo. Oggi ci sono più locali, ma nessuno investe sulle band locali, come invece accade in altre città. La logica commerciale e la mancanza di coraggio frenano una rinascita musicale».
Molto probabilmente anche perché l’underground dalle cantine si è spostato su internet. «Forse è vero – commenta Oliveri – Ma underground non è soltanto mettere una canzone on line, è un atteggiamento».
Un unico rimpianto, «quello che all’estero siamo stati apprezzati più che nel nostro Paese – fa notare Giovanna Cacciola – Qui ci hanno scoperto sempre dopo. Dopo Steve Albini (che produsse il secondo album della band, ndr), dopo la Peel session».
Poco importa. Loro vanno avanti, con i propri tempi. Lenti, lentissimi. Consapevoli «di essere il fanalino di coda di un mondo che va ad alta velocità». Ma gli Uzeda preferiscono l’alta fedeltà.

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