«La mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari»: così sentenziava lo scrittore. Nei giorni della legalità, da Falcone a Impastato, i volti e le storie degli eroi che si sono sacrificati per una società giusta ci hanno ricordato quanto sia importante trasmettere il valore della libertà di scegliere

Ne abbiamo visti un bel po’, in questi giorni, attraversare i nostri pensieri distratti. Uomini e donne più forti del silenzio a cui la morte non ha potuto condannarli. I giorni della legalità che ci siamo lasciati alle spalle somigliano a uno specchio nel quale, per qualche attimo, è stato possibile osservare i nostri riflessi migliori, ma anche genuinamente familiari: ci siamo tuffati negli occhi addolorati ed indomabili di Felicia Impastato, e abbiamo discretamente trovato posto tra le sue braccia salde e amorevoli, che a lungo hanno cullato il dipinto immortale del giovane figlio Peppino; pur nello strazio, ci siamo sentiti stranamente rassicurati contemplando il sorriso di Giovanni Falcone, la sua ferma convinzione che la giustizia esiste perché un giorno avrà la meglio sulla sua aberrante nemesi. Abbiamo rispolverato il coraggio innocente di Rosario Livatino, le intuizioni di Rocco Chinnici, la sana intransigenza di Libero Grassi. Abbiamo riletto gli strali appassionati di Pippo Fava e sentito su di noi le carezze di Don Pino Puglisi. Dopodiché, la vividezza del loro ricordo (e di tutte le altre vittime, illustri o no) ci ha fatto stare male: la memoria non è solo commozione e speranza, ma soprattutto acuto dolore. Perché solo il dolore è forte abbastanza da strapparci all’inerzia della quotidianità. E mentre tutto ciò si materializzava in noi, un altro ricordo sopraggiungeva improvviso: quello di Gesualdo Bufalino. E di una sua preziosa lezione.

Lo scrittore di Comiso, una volta, ebbe a dire che «la mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari». Un motto divenuto ormai celeberrimo, che però assume un tono peculiare in giorni come questi. L’annuncio di Bufalino non è una velleitaria invocazione al materializzarsi di una fervida utopia, bensì l’ispirata profezia di un uomo che crede ciecamente nel domani, che consegna la sua fiducia ai figli delle bombe e delle stragi, a coloro che desiderano tramutare la paura e l’impotenza del passato in vite consacrate a portare a termine un meraviglioso progetto di armonia. Oltre alla legge, infatti, esistono due armi da opporre a quel cancro che consuma avidamente la nostra terra e non solo: il tempo e la cultura. E sono proprio gli insegnanti gli unici a padroneggiare con destrezza entrambi gli strumenti: la loro vita non si misura in anni di servizio, ma in ore spese al servizio di chi pende dalle loro labbra. Il loro apporto alla società, d’altro canto, non si misura in libri pubblicati o in scuole prestigiose frequentate, ma in virtù di quanto il loro esempio e la loro passione sappia suscitare desiderio di emulazione. Chi meglio di un fine scrittore quale Bufalino poteva avere più chiara contezza di quanto non esista miracolo che il sapere non può tramutare in realtà? Che dietro ogni frase fatta che vuole convincerci che ad ogni errore l’uomo possa imparare il significato della redenzione, o che il contatto con la bellezza possa insegnare l’arte dei sogni, risiede un nucleo di verità a cui dobbiamo aggrapparci con tutte le nostre forze? E proprio alla coltivazione della bellezza, in ultima istanza, lo scrittore indirizza il suo appello.

Perché scoprire l’esistenza della bellezza equivale a imparare il valore della libertà di scelta. Significa mostrare, anche ai più piccoli, che nel deserto del male, dell’oppressione, della privazione di sé, si può piantare un fiore destinato a moltiplicarsi. Che il luogo di nascita o la genetica non scolpiscono la nostra condanna se non ci pieghiamo passivamente alle loro ragioni. Per questo le prime frontiere dell’antimafia non sono le piazze, ma gli occhi in cerca di risposte e purezza. Se saremo capaci di farli innamorare dell’avventura che comporta realizzarsi in maniera imprevista e faticosa giorno dopo giorno, e instillare in loro con pazienza il dubbio che alla logica crudele del dovere criminale si debba opporre una sana repulsione, allora potremo dire di aver seguito, nel nostro piccolo, le orme di chi ci ha ispirato ad essere migliori. Se e quando questo desiderio diventerà universalmente condiviso, i giorni della legalità non saranno più soltanto ricorrenze lacrimose e promesse sussurrate. Ma un’occasione per celebrare la nascita di quella società per cui tanti si sono sacrificati senza nemmeno averla vista compiuta.

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