Leggende siciliane e riti sciamanici nell’apprezzato spettacolo co-prodotto dallo Stabile Etneo e dal Biondo di Palermo in scena al teatro “Verga” di Catania fino al prossimo 5 marzo

Cosa succede quando l’irrazionalità prende il sopravvento sulla ragione e il potere finisce nelle mani sbagliate? A questi interrogativi dà straordinariamente voce Vincenzo Pirrotta nella sua originale lettura del Macbeth shakespereano. In questa pièce  l’artista siciliano esaspera l’elemento magico del celebre classico e costruisce la trama attorno all’incontro del Macbeth con le streghe, incarnazione lucida e misteriosa del male. Ed è nella brughiera tenebrosa che le bestie immonde, ambiguamente vestite con pelli, maschere pelose e monili aprono la scena con una danza macrabra e intonano in dialetto siciliano il rito fatale che legherà per sempre alla magarìa il protagonista.

In questo spettacolo in cui il profano delle ataviche leggende siciliane si mescola alla sacralità dei rituali sciamanici, Pirrota riesce a mettere in scena la follia omicida del protagonista che ha perso ogni contatto con la sua parte più razionale. Nell’interpretazione del regista siciliano, il potere è schiavo dell’incantamento, fa perdere il senno. Ma quello tra male e potere non è un legame che non può essere reciso. Macbeth, (come anche la spietata moglie interpretata dalla sensuale Cinzia Maccagnano), a cui Pirrotta dà intensamente corpo e voce, non riesce a liberarsi dalla corda che lo lega alle Streghe, perché ha ormai trasformato la sua ossessione immaginifica in realtà. Banquo, interpretato da un possente Giovanni Calcagno, invece, riuscirà a liberarsi dai malefici presagi pagandone il prezzo con la morte.

Ed è propro questa l’originalità del Macbeth di Pirrotta che va oltre la rappresentazione ammaliante del potere come “magarìa” e si spinge ad esplorarne la natura oscura e a farci cogliere possibili confronti con la realtà che stiamo vivendo. L’opera può evocare la figura del leader che calpesta i diritti umani, può ricordare l’etremismo radicale e omicida dell’Isis o ancora, per tornare al contesto isolano a cui Pirrotta è atavicamente legato, la criminalità organizzata. Il suo Macbeth ci mette di fronte alla follia che scaturisce dalla sete di potere, ci lascia attoniti di fronte al mistero del male, e ci fa riflettere sulla violenza che in Pirrotta non è mai giustificata perché scaturisce dalla volontà dell’uomo di scegliere secondo ragione e morale.

Il suo Macbeth ci costringe a fare i conti con la funzione stessa di teatro che l’artista concepisce come “rappresentazione di piccole rivoluzioni” che riescano a scuotere il pubblico. Ma il Macbeth non è solo questo. È anche il traguardo di un artista che riesce a re-interpretare un grande classico senza troppe forzature, attraverso l’equilibrato incontro delle tradizioni siciliane leggendarie con la cultura africana che contribuiscono insieme al cast, alla scenografia – una grande tela fissa in stile rete neuronale che si illumina di rosso in mille rivoli di sangue (realizzata con la collaborazione dello scenografo bozzettista Claudio La Fata) – alle musiche (di Luca Mauceri) e alle luci (di Gaetano La Mela) a creare un’atmosfera primitiva, barbara simbolo del lato più oscuro dell’animo umano.

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