In una cornice affascinante rinata dopo più di 60 anni di attesa, i racconti ancestrali della cultura occidentale sono tornati in scena, ammaliando giovani e meno giovani con l’abilità degli interpreti e con la capacità di associare temi universali e linguaggi contemporanei

Un’Epifania, quella che è arrivata a Siracusa, che per una volta ha sancito l’inizio di una lunga e agognata festa, anziché simboleggiarne il momento conclusivo. Dopo 62 anni di attese ed episodi sfortunati, infatti, nella sera del 5 gennaio il Teatro Comunale di Ortigia ha finalmente ospitato il suo primo spettacolo della stagione di prosa, a seguito dell’ottenimento dell’agibilità definitiva dell’edificio.

E non è stata questa l’unica magia a cui ha assistito una sala gremita di giovani e meno giovani, dato che a calcare le scene della capitale dell’antica Magna Grecia è stato lo stesso mito attorno al quale si è sviluppata per la prima volta la tradizione scritta e orale dell’epica occidentale: quello della guerra di Troia, qui intitolato Iliade, da Omero a Omero. Una scelta senza dubbio simbolica, che per l’occasione ha visto esibirsi sul palco gli archi del Quartetto Aretuseo composto da Corrado Genovese, Christian Bianca, Matteo Blundo e Stefania Cannata, accompagnati a loro volta dal laptop di Dario Arcidiacono, a cui si devono le musiche dell’adattamento. Intorno a loro, solo Sebastiano Lo Monaco, appoggiato a uno sgabello a dare voce al testo di Monica Centanni, grecista e docente di Archeologia e traduzione classica all’Università IUAV di Venezia.

SENTIMENTI IMMORTALI. Il monologo di un’ora e venti senza intervallo ha così ripercorso le tappe principali del poema incastonando nel racconto epico dell’Iliade anche brani tratti dall’Odissea, dall’Agamennone di Eschilo, dal De rerum natura di Lucrezio, dall’Eneide di Virgilio e dai poemi epici minori sulla conquista di Troia. L’atmosfera è stata caratterizzata da una presenza musicale di grande potenza espressiva, seppure minimalista, e da una scenografia inesistente, che stava allo spettatore immaginare al di là delle spesse tende del sipario. Nel tentativo di ricostruire un’antichissima narrazione orale, quindi, un solo aedo si è calato nei panni di eroi e divinità, donne e giovinetti, disegnando nell’aria sentimenti e passaggi cruciali di un quadro culturale comune. A emergere prepotentemente è stato il dialogo immaginario fra la mentalità di due popoli “cugini”, ma anche fra due diverse generazioni e fra le istanze contrapposte di un singolo individuo, spesso combattuto fra autoconservazione e vanagloria, furbizia e istintualità, accoglienza e intolleranza.

E, in un mondo tecnologico e hollywoodiano come il nostro, abituato a essere conquistato da colpi di scena ed effetti speciali, c’è qualcosa di straordinario se una vicenda con la struttura dell’Iliade viene ancora non solo raccontata, ma anche apprezzata con tanto fervore. Il merito è stato di sicuro di un testo plastico e scorrevole, grazie al quale perfino i più piccoli avrebbero potuto sentirsi coinvolti da una resa comunque fedele all’originale, così come un plauso va alla malleabilità per cui si sono distinti gli interpreti rispettivamente di note e parole.

Sebastiano Lo Monaco
Sebastiano Lo Monaco

AVI LONTANI MA NON TROPPO. Eppure, ci deve per forza essere dell’altro, specie se consideriamo che le radici della nostra storia e forma mentis, dopotutto, sono difficili da accettare. Attribuiscono ai nostri avi dei tratti del carattere tremendi, estremi e allo stesso tempo affascinanti, nei quali ci rispecchiamo a fatica e verso i quali nutriamo, però, un rispetto traboccante di ammirazione, quasi sacro. Al posto di Achille non avremmo forse voluto diventare tanto feroci, al posto di Ettore non avremmo abbandonato la nostra famiglia per consegnarci scientemente nelle mani della morte, al posto di Agamennone non avremmo sacrificato nostra figlia Ifigenia pur di fare salpare una flotta di guerrieri.

Ulisse medesimo, che prima vorrebbe sottrarsi al conflitto con l’inganno e che poi sfrutta il suo multiforme ingegno per battere i troiani con una trappola, non è forse il paradigma di onestà a cui ci rifaremmo, sebbene la sua intelligenza ci conquisti tanto quanto il dolore amicale di Achille, il senso del dovere di Ettore, l’affetto commosso di un padre come Priamo, tutti modelli a noi cari perfino a tremila anni di distanza.

TRA UNIVERSALITÀ E ATTUALITÀ. È nel sottilissimo spartiacque fra malìa e distacco, sgomento e ammirazione, pertanto, che si colloca l’imperitura potenza del mito, pronta a trascinare le nuove generazioni come poche altre forme di “teatro” e a confermarsi efficace e convincente in qualunque forma si ripresenti, a patto che sappia coniugare archetipi universali e linguaggi contemporanei con il giusto equilibrio, come ne è stata data prova nella patria di Archimede.

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