Nell’immaginario dialogo finale tra Marco Polo e il Kublai Khan de Le città invisibili di Italo Calvino, all’imperatore che ricorda come la corrente, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia verso la città infernale, Marco Polo ricorda: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” 

Nell’ambito della ricerca scientifica, la coesistenza e la collaborazione tra diversi Paesi è una questione che si gioca quotidianamente

Intorno alla tragedia che da due mesi incombe sul territorio ucraino, e per la verità intorno alle tante altre tragedie che da anni devastano il resto del pianeta, forse un po’ dimenticate o sottaciute dal mondo occidentale, si gioca realmente una sfida a riconoscere chi e che cosa, in mezzo a questo inferno, inferno non è, anzi può dare un barlume di speranza che faccia guardare ad un futuro di pace e di amicizia tra i popoli, pur nella diversità delle culture, delle origini, delle tradizioni. Esempi di questi frammenti di vita positiva ci sono stati regalati in queste settimane – insieme alla vista delle macerie e della morte – dai mezzi di comunicazione: matrimoni celebrati durante il conflitto, nuove nascite, spesso in condizioni impossibili, bambini che pur chiedendo il perché di quanto succede, continuano a giocare nella metropolitana di Kiev, anche durante i bombardamenti. Storie ordinarie di umanità, che ricordano come la vita potrebbe essere diversa, se solo non cercassimo di negarla. 

A chi è stato abituato a lavorare, nell’ambito della ricerca scientifica, in grandi collaborazioni internazionali che vedono la presenza di centinaia, spesso di migliaia di ricercatori impegnati nella realizzazione di un progetto comune, non può non venire in mente come il problema della coesistenza e della collaborazione tra colleghi di Paesi diversi tra loro si gioca quotidianamente in questi luoghi del sapere scientifico, e richiede una riflessione anche in occasione di questo nuovo conflitto. E’ quanto avviene nei grandi esperimenti presso il Large Hadron Collider, l’anello di accelerazione da 27 km del CERN, intorno a cui lavorano da decenni collaborazioni di migliaia di fisici, ingegneri, tecnologi per ciascun esperimento. Ma anche nella gestione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dove team di Paesi differenti si alternano nella permanenza a bordo e nella gestione comune delle attività. 

La missione che porterà AstroSamantha a bordo dell’ISS si chiama “Minerva”: un invito alla saggezza anche al di fuori dell’impresa scientifica

Non a caso, anche in questi due grandi ambienti di lavoro scientifico sono stati messi sul tappeto proprio nei giorni scorsi i problemi che potrebbero derivare da una mancata partecipazione russa a queste iniziative. Si va dalla questione di continuare ad essere firmatari comuni dei risultati scientifici nelle centinaia di pubblicazioni che LHC produce ogni anno, al ripensamento del futuro stesso di questi esperimenti, nel caso in cui ai colleghi russi venisse impedita la partecipazione. Per la Stazione Spaziale Internazionale si discute addirittura della eventualità che essa possa essere mantenuta ancora in funzione in assenza del supporto russo, e che non sia costretta a chiudere prematuramente le sue attività. 

La questione, in entrambi i casi, non può avere una soluzione ideologica. Il modo di procedere delle collaborazioni scientifiche ha portato ormai da molti decenni a trasformare, in modo quasi naturale, i colleghi di lavoro in amici, in persone con le quali si stabilisce un rapporto che va al di là dell’ideologia, e che trascende il puro impegno di lavoro. Un approccio che si capisce a maggior ragione nella coabitazione propria della Stazione Spaziale: un microcosmo, dove un numero limitato di persone – russi e scienziati dei Paesi occidentali – lavorano gomito a gomito, è il caso di dirlo dato il ristretto spazio a disposizione, per mesi interi. Sono comprensibili, dunque, le parole di Samantha Cristoforetti, che si appresta a tornare sulla Stazione Spaziale nei prossimi giorni, con la navicella Dragon della SpaceX, quando ricorda che la ISS è un simbolo di cooperazione pacifica e che l’uso della saggezza, che presta il suo nome a quest’ultima missione, la missione Minerva, è ciò che tutti auspicano, sia nel microcosmo delle relazioni personali e affettive che nel macrocosmo delle relazioni internazionali. Una speranza di pace che anche le due donne, una ucraina, l’altra russa, chiamate dal Papa, hanno voluto esprimere in comune durante la Via Crucis di quest’anno.

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