Gli arancini e la bellezza contro la disperazione:
la storia di Giuseppe
e la “Pinocchio Onlus”
L’associazione, che si occupa del reinserimento di ragazzi con un passato difficile, ha inaugurato un progetto unico nel suo genere che si è tradotto in un corso di formazione di cucina siciliana
[dropcap]«[/dropcap][dropcap]I[/dropcap]nsieme ai nostri ragazzi svolgiamo un’attività bellissima: un incontro settimanale in cui attraverso poesie, film o canzoni proviamo a fare una ricerca di senso. Proviamo, cioè, a capire se queste attività possano aiutarci a trovare un significato alle cose che ci succedono». È così che risponde Giuseppe Costanzo, fundraiser e responsabile di promozione e sviluppo della Pinocchio SCS ONLUS di Brescia, quando gli chiediamo quale sia il suo approccio coi giovani ospiti della comunità. La bellezza, dunque, come antidoto alle disgrazie della vita, sulla scorta del cosiddetto metodo Chinasky: «Questo cognome – prosegue – era l’alter ego del famoso scrittore Charles Bukowski. Un alcolizzato, un problematico, è vero: ma, al tempo stesso, un uomo con degli obiettivi, che si dedicava ad una profonda ricerca di senso». Una ricerca dai confini smisurati, che può anche durare tutta la vita e, talvolta, realizzarsi nelle piccole cose. Da un anno a questa parte, infatti, Giuseppe ha inaugurato insieme ai suoi ragazzi, e con l’aiuto di una chef catanese, un progetto unico nel suo genere: un corso di formazione di cucina siciliana. Specialità della casa? Gli arancini, neanche a dirlo! Sì, perché anche un mucchietto di riso, se aggregato con la giusta motivazione, può suscitare entusiasmo e voglia di ripartire, può dare origine a qualcosa che sembrava impossibile: a breve si prevede di far nascere, proprio in quel di Brescia, il punto vendita Cabbanna. Anche un arancino, insomma, può essere simbolo di rinascita.
IL CASO CHE CAMBIA LA VITA. Eppure, a sentire il giovane originario di Aci Trezza, che per seguire la sua vocazione all’interno della comunità di recupero ha deciso di trasferirsi con la moglie su al Nord, i progetti originari erano un tantino diversi: «Mi imbattei casualmente in questa associazione navigando su internet. Quando conobbi Walter, che mi diede il posto come responsabile della comunicazione, non ritenevo di poter stare a stretto contatto con i ragazzi, di avere qualcosa da dare loro. Progressivamente, però, mi rendevo conto di dedicare più tempo a loro rispetto a quello che dedicavo alla mansione per cui ero stato assunto. Da lì ho capito che si trattava della mia strada, di ciò che voglio per il mio futuro, al punto da tornare all’università e prendere una laurea in Scienze dell’educazione».
È stata la scoperta di una realtà che non conosceva a dare impulso alla sua vita e colmare il vuoto di una domanda che attendeva una risposta. La stessa attesa che caratterizza i ragazzi della comunità: «In occasione dei nostri incontri – ci rivela Giuseppe – tutto si svolge in una situazione di assoluta parità. Non c’è nessuno che dall’alto impone una soluzione. Ognuno, in relazione alla propria esistenza, si impegna a trovare la ragione per continuare a vivere». Così, in quello che si configura come un percorso circolare, anche gli educatori possono scoprire sempre cose nuove a proposito di se stessi, in primis verso cosa canalizzare il proprio desiderio…
RIABBRACCIARE IL DESIDERIO. Questo tema, non a caso, sembra essere una delle questioni cruciali per interpretare le dinamiche sociali odierne. Quando, qualche anno fa, il filosofo catanese Pietro Barcellona fotografava la modernità con la frase “si gioca con la morte quando la vita non vale niente”, evidentemente faceva riferimento a una cronica mancanza di spinte positive che garantissero all’individuo l’autoconservazione. «Più che un rifiuto della vita – ha commentato Giuseppe Costanzo – si tratta di una scelta dettata dall’inconsapevolezza di ciò che si potrebbe perdere. Alla base di tutti i ragazzi che incontriamo risiede un forte desiderio che, però, sfociando nella criminalità o nella distruzione di se stessi, trova sbocco in una soluzione malata». Ed è proprio in questo momento che intervengono gli educatori del gruppo Pinocchio, fondamentali nell’attivare quel processo che «salva i ragazzi rendendoli consci che esiste una modalità di vita bella, una via di mezzo tra la criminalità e il piattume di una vita borghese che può essere vissuta all’insegna della gioia».
LA SCINTILLA È LA FIDUCIA. Certo, com’è facile immaginare, il compito dell’educatore non è mai semplice e capita spesso di ricevere secchi rifiuti da chi non vuole lasciarsi aiutare. «Se ci si pone come dei santoni che hanno la risposta per tutto – chiarisce Giuseppe – non è possibile instaurare alcun rapporto». È, allora, il coinvolgimento affettivo a fare la differenza: «Spesso passa un po’ di tempo prima che i ragazzi si fidino, un tempo passato continuamente a rimontare ciò che loro inizialmente vorrebbero smontare. Ma quando si arriva alla fiducia totale, ecco che la scintilla divampa e li conduce su nuovi binari».
UN INCONTRO PER LA VITA. A sentire Giuseppe Costanzo, perciò, non si tratta semplicemente di fornire un aiuto per il tempo previsto dal percorso di recupero, ma di lasciare un segno indelebile nell’anima di chi si è incontrato, come testimonia la frase che è diventata un po’ il motto dell’associazione: un incontro è per la vita. Un mantra estremamente veritiero, come testimoniano le storie che il catanese ci racconta, a proposito dei tanti che dopo l’esperienza in comunità sono diventati a loro volta aiutanti per altri giovani in difficoltà, o come dimostra la storia di un ragazzo che, ripresa in mano la sua vita, ha scelto di laurearsi in lettere classiche e oggi si trova in Israele per fare ricerca su testi antichi. Sebbene ci siano i casi fisiologici di coloro che mollano prima del previsto, ciò non toglie nulla alla portata dell’opera degli educatori, che Walter Sabbatoli definisce “dei seminatori”. Che passino 10 o 20 anni non importa: prima o poi, anche chi aveva lasciato si ricorderà del periodo passato alla Pinocchio e, come ci conferma Costanzo, «la cosa più bella è assistere a queste testimonianze capaci di riacquistare la forza di affrontare le sfide di ogni giorno». Insomma, proprio come il famoso personaggio di Collodi, vederli passare dall’essere burattini all’essere uomini veri.