Che cosa rende così affascinanti ai nostri occhi gli spazi abbandonati? Viviamo oggi un’accelerazione che ha i suoi effetti non solo sulla nostra percezione del tempo, ma anche dello spazio. Dalla fine del Secolo Breve i processi di creazione, evoluzione e distruzione del tessuto urbano delle nostre città sono diventati sempre più frequenti, configurandosi come un’ossimoro-specchio dei limiti della nostra società. Accade, allora, che determinati edifici dismessi diventino dei “non luoghi”, deputati a custodire la memoria quasi in maniera distopica. Villa Iolas a Agia Pa­ra­ske­vi in Grecia è oggi un relitto. Dello sfarzo museale che la caratterizzò alla fine degli anni ’60 – durante i quali ospitò opere “site-specific” di artisti come De Chirico, Ernst, Fontana, Magritte e Warhol – non rimane che uno spazio abbandonato a se stesso e alla mercé di writers e vandali. Eppure la sua importanza, in un contesto che ha visto alcuni abitanti del Mediterraneo svegliarsi bruscamente dal sogno europeo, dovrebbe essere evidente.

La mostra “Call for Iolas’ House” – organizzata a Palazzo Costa Grimaldi di Acireale dalla “Fondazione Gruppo Credito Valtellinese” a cura di Stefania Briccola, Leo Guerra, Cristina Quadrio Curzio e coordinata nell’allestimento da Filippo Licata – si propone di fare luce su questi temi, ripercorrendo contestualmente il vissuto del grande gallerista Alexander Iolas. Primo direttore artistico della Fondazione Creval, Iolas – spiegano i curatori – fu definito da Bob Colacello un “proto-Gagosian” per il suo ruolo da mercante d’arte ante-litteram. Dotato di una sensibilità artistica fuori dal comune (che lo vide impegnato dapprima come pianista, poi come ballerino e infine come gallerista) seppe scoprire autentici talenti, circondandosi dal gotha dell’arte contemporanea mondiale.

I VIDEO. Ad accogliere il visitatore nel percorso museale è una selezione di interviste aventi come protagonisti artisti della sua “scuderia” e amici: dal suo biografo Nikos Stathoulis, ad André Mourge, che fu suo compagno di vita, da Marina Karella a Fausta Squatriti. Un “tubo catodico” propone invece alcune immagini della villa per come si presenta oggi, realizzate dai curatori mediante una camera in modalità steady cam. L’impressione è appunto quella di esplorare in prima persona gli spazi ormai dismessi della casa oggi vandalizzata e paradiso dei writers.

THE LAST SUPPER. Opera principe della mostra è “The Last Supper” di Andy Warhol, un acrilico su serigrafia riportata su tela che prende le mosse da un’immagine del cenacolo vinciano. Realizzata circa un anno prima della scomparsa dell’artista (avvenuta a tre mesi da quella del gallerista), l’opera sintetizza in qualche modo la poetica warholiana tesa a demistificare l’opera d’arte nella sua unicità: l’Ultima Cena viene così idealmente accostata alle icone pop tipiche della sua poeticacome la Campbell’s Soup o la Coca Cola. Commissionata da Iolas per il “Refettorio delle Stelline”, galleria d’arte di proprietà Creval antistante al “Refettorio di Santa Maria delle Grazie di Milano” (che custodisce il capolavoro di Leonardo Da Vinci), la tela fu esposta per la prima volta nel 1986 con grandissimo ricontro di pubblico e critica.

LE ALTRE OPERE. In seguito agli scandali che interessarono la figura di Iolas, le opere custodite presso la villa di Agia Paraskevi furono cedute a vari musei ed enti come il “Museo Macedone di Arte Contemporanea” a Salonicco, il “Centre Georges Pompidou” di Parigi e il “MOMA” di New York. Tuttavia, il suo lascito si trova oggi anche presso numerose collezioni private. È da queste ultime che provengono alcune delle opere esposte ad Acireale, come la “Donna tartaruga con scarabeo” di Novello Finotti, “Forme mere” di Victor Brauner e “Portrait mère” di Max Ernst. Con l’intento di far rivivere alcune delle opere perdute un tempo custodite a casa Iolas, poi, la Fondazione Creval ha voluto coinvolgere i licei artistici di Giarre (CT) e di Morbegno (SO). Allievi e insegnanti delle due scuole hanno quindi ricreato, grazie alla documentazione fotografica, tanto una tela di Fontana quanto il ritratto che che lo stesso Wharol fece di Alexander Iolas (anche in questo caso, come in quello di “The Last Supper”, si tratta di un acrilico riportato su una serigrafia).

CALL FOR IOLAS’ HOUSE. Il titolo stesso della mostra suggerisce l’intento di concentrare l’attenzione su un luogo di archeologia contemporanea. Per fare questo i curatori non si sono limitati a tratteggiare la professionalità e la vita del gallerista (peraltro ben documentate con una selezione di libri d’artista, manifesti delle mostre e con una selezione di foto che ripercorrono la sua biografia), ma hanno voluto lanciare alcune provocazioni. Se è vero che oggi all’interno della villa si trovano sia recenti messaggi pro Grexit e anti-Merkel sia quelli contro la dinastia Papandreou, proseguendo nel percorso di visita troviamo accanto al re-made della “sedia-fantasma” di Marina Karella uno zainetto che riporta la serigrafia di Apollo con cuffie da dj circondato dalla scritta “Fuck the crisis. Let’s Dance”. Il risultato, alla fine di un percorso di visita chiaro ed efficace, fa riflettere: sarà possibile ripartire dall’arte e dalla memoria della storia contemporanea per dare nuova linfa alla società in cui viviamo oggi?

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