Il fragore delle immagini prosegue incessantemente a quello della guerra: case bombardate, casermoni in fiamme, soldati e civili morti, bambini e madri sopravvissuti allo scoppio di una bomba, anziani accompagnati sotto le macerie di un ponte, pavimentazioni sbriciolate dalla furia dei bombardamenti, feriti su barelle improvvisate, postazioni di emergenza nelle metropolitane, nei sotterranei, ragazze dai capelli colorati in assetto di guerra, giovani che costruiscono bottiglie di molotov, militari carri armati macchine esplose, cieli dal sapore dell’apocalisse, luci di distruzione nelle notti che incutono gelo e freddo. (Foto di Alfredo Bosco). Con minore intensità si susseguono immagini sulla pace che rimandano alle icone classiche dei colori della bandiera della Pace, delle colombe, dei disegni di piante da cui crescono speranza armonia pace fratellanza ma anche immagini che chiaramente esprimono la pace in Ucraina.

Alfredo Bosco immagine per la guerra

Mi pongo diverse domande su quanto il linguaggio della fotografia ci è di aiuto a comprendere la guerra ma soprattutto a districarci nei messaggi che potrebbero indurci alla pace. Sono proprio quelle fotografie che esprimono la furia devastante della violenza ad indurci a pensare alla pace o viceversa? In questo momento frammenti di realtà documentano alcune situazioni della guerra più che mai vicina a noi così come richiede il fotogiornalismo. È proprio su questo tema, cioè quello di dover documentare la realtà, che autori stimati hanno dedicato pagine e pagine di analisi per mettere a fuoco il concetto di realtà. Susan Sontag, in Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società (Einaudi) afferma che «la fotografia ha la dubbia fama di essere la più realistica, e quindi la più superficiale, delle arti mimetiche». Ma sempre la Sontag sulle pretese morali avanzate dalla fotografia si chiede «Ma che cos’è l’umanità? È una qualità che hanno in comune le cose quando le vediamo in fotografia» e continua con «la fotografia non è meno riduttiva quando fa della cronaca di quando rivela belle forme. Le fotografie vengono spesso citate come aiuto alla comprensione e alla tolleranza. Nel gergo umanistico, la loro suprema vocazione è quella di spiegare l’uomo all’uomo. Ma le fotografie non spiegano: constatano». E, aggiunge, «il realismo fotografico può essere definito – e lo è sempre di più – non come ciò che realmente c’è, ma come ciò che io realmente percepisco». Il significato di queste citazioni sta nel capire come le immagini di guerra che oggi vediamo in continuazione, in prima pagina, sulla maggior parte dei giornali ci aiutano a capire quanto l’umanità ha bisogno di pace.

Photo by Paul Hansen @paul_hansen64 // Pro-russian separatists prepare for street fighting in the village of Slavyansk in Ukraine, led by Olga Kulygina from FSB (former KGB) on May 2, 2014.  She was captured later during a firefight with the Ukraine army and imprisoned in Kiev. She was handed over to Russia during an exchange of “prisoners of war” during the ceasefire between Russia and Ukraine on September 30, 2014.

E come, allora, rendere visivamente la Pace con immagini che non siano solamente icone stilizzate di simboli che hanno il semplice scopo di nascondere quanto impegno quanto pensiero sia necessario per costruire la Pace? A questo proposito, ritengo significativo citare il tentativo di alcuni autori, poiché ognuno con il proprio stile mette in evidenza il dilemma del linguaggio fotografico. Michela Battaglia e Stefano De Luigi con il loro fantastico progetto artistico Babel, ad esempio, che coniuga le immagini estrapolate dalle riviste di propaganda Daesh con quelle della cartellonistica pubblicitaria (fotografie dei manifesti della metropolitana di Parigi) per contrapporre la vita agiata a quella tormentata di innumerevoli persone. Anche Uğur Gallenkuş  fotografo turco, fa un tentativo – sempre con la tecnica del collage – di accostare immagini di guerra a quelle di vita quotidiana “in pace”, “senza guerra”. (Foto Uğur Gallenkuş).

Se è vero che la realtà è quella che io percepisco, allora sento il bisogno di vedere la Pace negli occhi dei soldati, un carro armato che non esce dal deposito, la preghiera del Papa in un campo minato, la mano di un bambino morente verso il suo carnefice, l’ululare di un lupo in mezzo alle rovine, una minestra fumante accanto alle macerie della casa, una donna che cammina sulla spiaggia nel suono dei gabbiani (Foto Alfredo Bosco). Se della guerra e del suo orrore forse iniziamo ad acquisire più consapevolezza, grazie al lavoro incessante di chi documenta e raccoglie testimonianze, per la Pace abbiamo ancora molta strada da fare per capire veramente che cosa è, e a quanto l’Uomo è disposto a rinunciare.

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email