Fino a quando l’uomo ha dovuto confrontarsi con i suoi simili nella gestione della globalizzazione è riuscito a governare i momenti di crisi – si pensi al 2008 – facendone ricadere le conseguenze su parte della popolazione, ridisegnando le gerarchie globali fra gli Stati e quelle sociali dentro gli Stati. Ma questa volta a far inceppare la macchina è stato un microbo, un protagonista della storia plurimillenaria del pianeta, un elemento della natura di cui l’uomo non aveva previsto fino in fondo le mosse, perché credeva di averlo definitivamente debellato con antibiotici e vaccini, e di controllarne i fenomeni di resistenza (quando il microbo si presenta sotto forma di batterio) e di mutazione (quando si presenta come virus). 

La crisi globale della società contemporanea, così come l’abbiamo conosciuta nell’ultimo secolo, per la prima volta è messa in moto dal rapporto tra uomo e natura e non dal rapporto tra uomo e uomo, come nel caso delle due guerre mondiali e delle crisi economiche internazionali del 1929, 1973, 2008. Questo è il grande elemento di novità, con due specificazioni. La prima è che mentre gli Stati, gli organismi internazionali e sovranazionali e anche l’opinione pubblica guardavano alla crisi climatica come punto di rottura dell’equilibrio ecologico, la crisi è partita inaspettatamente sotto forma di pandemia. Molti studi ci hanno mostrato che questo errore di valutazione è dovuto a una distorsione ottica, che guarda agli effetti e non alla causa. I disboscamenti, l’alterazione degli habitat naturali e l’iper urbanizzazione, stanno alla base di quei fenomeni di zoonosi, ovvero di migrazione dei virus dagli organismi animali dove convivono senza problemi, agli uomini dove invece diventano letali. Le città sono diventate luogo di accumulo e diffusione di virus che, insieme agli animali con cui convivevano pacificamente, hanno abbandonato le aree distrutte dall’uomo, si sono trasferiti da animali ad altri animali, da quest’ultimi, attraverso l’allevamento, i mercati e la gastronomia, all’uomo, per cui sono letali, e per contagio ad altri uomini.

L’attuale crisi è messa in moto per la prima volta nella storia dal rapporto tra uomo e natura e non da quello tra uomo e uomo

La crisi è partita da una postazione non prevista e che comunque si riteneva sufficientemente presidiata, ma è il prodotto dell’alterazione profonda del rapporto tra la specie umana e le altre specie viventi. È uno degli effetti più evidenti di quella che molti scienziati e umanisti hanno definito la nuova epoca dell’Antropocene, ovvero l’epoca in cui l’uomo è diventato agente geologico al pari dei terremoti, dell’eruzione dei vulcani e degli spostamenti dell’asse terrestre. L’uomo ha alterato le matrici naturali, l’acqua (idrosfera), il suolo (pedosfera) e l’aria (atmosfera) e con esse il rapporto con gli altri esseri viventi (biosfera). Avere chiaro questo nesso ci aiuta a capire perché Covid è arrivato, insalutato ospite, fino alla porta di casa nostra.

La seconda specificazione è che la crisi del mondo globale del 2020, se da una parte rappresenta un elemento di rottura con la storia recente dello sviluppo del capitalismo, dall’altra mantiene una linea di continuità con la storia della specie umana. L’homo sapiens nella sua storia plurimillenaria ha vissuto grandi crisi epidemiche, che hanno riequilibrato il rapporto tra società e risorse alimentari, come la Peste del Trecento. Le pandemie nei secoli hanno determinato guerre, conflitti, eclissi di intere civiltà come quelle precolombiane, annientate dai virus importati dai conquistatori europei. In azione combinata con le crisi climatiche le pandemie hanno inciso sulla stabilità di società evolute come quella romana. In quei casi gli Stati, i poteri di allora, spesso non sono intervenuti per salvare le vite o lo hanno fatto utilizzando strumenti inefficaci, senza cognizione medica. Gli effetti in termini di mortalità allora sono stati molto più devastanti di quelli di oggi. Ma nel 2020 siamo di fronte a un fenomeno nuovo per la pervasività e la velocità delle interconnessioni globali, per l’alterazione profonda e sistematica degli equilibri naturali, per l’alto livello scientifico e tecnologico di controllo sulla biosfera. La prima grande crisi colerica del 1826 ebbe bisogno di circa 7 anni per arrivare dal golfo del Bengala all’America, oggi tutto si è svolto tra il gennaio e il marzo del 2020. A un mondo iper velocizzato corrisponde una diffusione istantanea. Inoltre il livello di globalizzazione dell’economia ha subito inceppato il mercato dei capitali, delle merci, del lavoro, mettendo in crisi il sistema-mondo, dalle relazioni geopolitiche a quelle comportamentali tra uomo e uomo.

Il sistema di estrazione, produzione e distribuzione delle risorse, in un mondo sovrappopolato, ha stressato la natura, che ha prodotto un virus che in 30 giorni ha quasi bloccato l’intero meccanismo delle relazioni globali, facendolo precipitare nell’incertezza. È sicuramente una esemplificazione eccessiva, che vuole solo proporre una chiave di lettura, di una vicenda complessa. Il potente livello scientifico e tecnologico di cui la specie umana si è dotata nell’ultimo secolo, non è, infine, una variabile esterna e certamente servirà a trovare una soluzione per ridurre il danno e bloccare la pandemia. Ma inevitabilmente dopo questa esperienza, il modo di vivere del mondo globale cambierà.

Il futuro dipenderà dal grado di solidarietà e resilienza dimostrato dalla specie umana

Certamente la specie umana non sperimenterà un solo modo di rispondere all’allarme provocato da Covid, ma è mia opinione che andrà verso un processo di centralizzazione delle decisioni in tutti i livelli di governo, dal globale al locale. D’altronde le prime risposte di questi mesi anticipano già le principali tipologie di intervento. Se il radicato sistema regionale tedesco ha tenuto, è anche vero che la frammentazione della recente autonomia regionale in Italia ha evidenziato tutti i limiti della regionalizzazione della sanità. L’espansione della pandemia negli Stati Uniti ha mostrato le conseguenze negative della privatizzazione del sistema di assistenza sanitario. Il Welfare democratico e “universalistico” ad alta imposizione fiscale dei paesi scandinavi, ha cercato di garantire libertà di movimento, ma non si è mostrato sufficientemente capace di bloccare il virus. L’azione autoritaria ed egualitaria della Cina, dimostra la forza di un sistema pubblico centralizzato ma lesivo dei diritti individuali, che non ha bisogno di consenso per agire. Si tratta solo di alcuni esempi che danno il senso del presente e di quello che potrà essere il futuro.

Il discrimine sarà rappresentato dal grado di solidarietà, di uguaglianza e di democrazia, che le catene di comando politico decideranno di assumere come parametro di organizzazione della società; dalla capacità e volontà che avranno di competere con il mercato finanziario e con gli interessi economici organizzati; dalla matrice culturale che gli permetterà di considerare la privacy come valore e come diritto; dalla consapevolezza o meno che avranno della centralità strategica della questione ambientale. Io auspico che si trovi una equilibrata sintesi tra centralizzazione e garanzie democratiche, tra controllo e garanzie della privacy. Dipenderà non solo dalle scelte della politica, ma anche dalla capacità di risposta degli individui riuniti in società nel rivendicare nuovi modelli di partecipazione e nuovi stili di vita rispettosi dell’ambiente e degli altri. Molti analisti stanno mettendo in evidenza lo spirito di solidarietà, condivisione, temperanza e resilienza che Covid sta facendo emergere nella specie umana. Resisterà questo spirito alla lenta ripresa della vita post Covid? Potrà essere una risorsa per il futuro? La forza distruttiva di Covid sarà da stimolo per le culture politiche, religiose, etniche e filosofiche del pianeta a trovare linguaggi e valori comuni di democrazia e solidarietà? Sarà il potere destabilizzante di Covid a condurci verso la formazione di quella comunità di destino planetario, auspicata da Edgar Morin?

Sapranno gli uomini approfittare di Covid-19 per mettersi a servizio della società, considerando l’uomo nella sua unitarietà di essere fisico, spirituale, sociale, economico, integrato nella natura?

Più in generale Covid ripropone il rapporto centrale tra politica e tecnica. Ci stiamo affidando ai medici, ai biologi, ai matematici, agli statistici, ci affideremo a economisti, giuristi, sociologi, ingegneri e psicologi per ritornare alla normalità. Anche in questo caso la pandemia ha rotto un doppio circolo vizioso in cui erano incagliate le competenze: da una parte ha infranto il mito populista della inutilità dei saperi esperti ridandogli dignità, dall’altro li ha sottratti dalla dipendenza servile dalla politica democratica, ridandogli autonomia di giudizio e di decisione. È un momento eccezionale e imprevedibile di libertà. Sapranno gli uomini portatori di saperi esperti approfittare del Covid per mettersi a servizio della società, per radicarsi nei territori, per superare la frattura tra scienze naturali e scienze sociali, considerando l’uomo nella sua unitarietà di essere fisico, spirituale, sociale, economico, integrato nella natura? Vireranno verso una pretesa tecnocratica di dominio? Ritorneranno a svolgere un ruolo burocratico di supporto alla politica? E la politica saprà riconoscere la loro autonomia all’interno di un quadro che garantisce la democrazia, la libertà e l’uguaglianza?

Il modo in cui si ricomporrà il rapporto tra la tecnica e la politica è un altro degli interrogativi di fondo che Covid lascia in eredità alla specie umana. Ho posto forse troppe domande, ma è perché vedo orizzonti aperti e credo che ognuno di noi deve fare la sua parte, deve costruire nuovi orizzonti di attesa, e anche agire, perché siamo in piena crisi e dalla crisi si esce costruendo una società nuova.

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