Prima di essere destinazione per viaggi low cost alla scoperta delle meraviglie iblee, l’aeroporto di Comiso e l’area a esso circostante sono stati per molti anni tra i luoghi più controversi dell’isola. A pochi passi dallo scalo oggi intitolato a Pio La Torre, fino al 1991 sorgeva un imponente complesso militare della Nato, che ha ospitato missili e testate nucleari di cruciale importanza nella strategia di deterrenza legata alle dinamiche della Guerra Fredda. Abbandonata dalle forze statunitensi dopo il collasso dell’URSS, la base ha conosciuto un breve periodo di rinascita quando nel ‘99 accolse i profughi che fuggivano dal Kosovo. Da allora, quella che era a tutti gli effetti una cittadella pienamente autonoma – tra supermercati, chiese, bar e ristoranti, e abitazioni spaziose – è entrata in una fase di completo abbandono. Oggi, all’emergere di un nuovo devastante conflitto e dell’annessa catastrofe umanitaria che si è abbattuta sulle famiglie ucraine, una proposta dell’amministrazione comunale mira a far divenire ancora una volta questo luogo un polo di accoglienza e speranza. A farsi portavoce dell’iniziativa è stata, già dal 28 febbraio, la sindaca Maria Rita Annunziata Schembari dichiarando la disponibilità del comune ad aprire le porte a chi ne ha bisogno e sottolineando, al contempo, la necessità che l’iter burocratico venga accelerato.

Nel ‘99 l’ex base Nato venne utilizzata per far fronte alle necessità dei profughi kosovari. Ad oggi, non sembra ci siano le condizioni per una risposta altrettanto immediata. Cosa è cambiato?
«Ai tempi del conflitto nei Balcani le condizioni erano decisamente migliori poiché il complesso era stato definitivamente abbandonato da relativamente pochi anni (nel 1993 ndr). Allora, i profughi vennero ospitati nelle abitazioni prefabbricate site nella parte statunitense della base, ma oggi tali strutture sono del tutto inagibili. Gli edifici in muratura un tempo destinati ai militari italiani, invece, sono più adatti ad accogliere chi arriva dall’Ucraina seppure necessitino in ogni caso di lavori di ristrutturazione».

Di che tipo di interventi stiamo parlando? E quanto occorrerebbe per realizzarli?
«Negli anni le abitazioni sono state danneggiate dagli agenti atmosferici e da alcuni atti vandalici, tuttavia, le operazioni di ristrutturazione necessarie sono relativamente semplici. Sarebbe sufficiente sostituire gli infissi, rifare gli impianti elettrici e installare nuovi sanitari. In tal modo, nell’arco di una decina di giorni, potremmo avere trentotto abitazioni in grado di ospitare circa 240 persone».

Una delle villette all’interno dell’ex base

Un tempo la base vantava un grande auditorium, un supermercato, bar e ristoranti, un’infermeria. In che misura le strutture un tempo deputate ai servizi alla persona possono essere ancora utilizzate?
«Alcune di esse lo sono ancora oggi. Ad esempio, l’ex mensa ufficiali prepara pasti destinati ad alcune scuole di Comiso. Estendere questo servizio alle famiglie ucraine ci consentirebbe, sul piano delle ristrutturazioni delle abitazioni, di allestire cucine minimali, che si limiterebbero a un forno o a uno scaldavivande. Per quello che riguarda altri servizi, come le funzioni religiose, poiché la chiesa presente in loco non è più adibita a tale scopo, potremmo organizzare dei transfer in bus verso Comiso». 

Come avete predisposto l’accoglienza per i profughi che sono già arrivati?
«Abbiamo istituito una di cabina di regia unitaria per coordinare gli sforzi di cittadini e associazioni. Per il momento, la maggior parte dei profughi è stata ospitata da connazionali ucraini residenti a Comiso, ma non sono mancati anche offerte da parte di italiani. A fianco di queste iniziative, le organizzazioni no-profit hanno dato vita ad attività più strutturate. Ad esempio la società “San Vincenzo de Paoli” ha distribuito beni di prima necessità: pannolini e cibo per bambini. Anche il comune sta facendo la sua parte: abbiamo messo a disposizione le sale della Biblioteca Comunale per fare delle lezioni di lingua italiana e molti docenti si sono messi prontamente a disposizione». 

Al fine di rendere operativa in tempi brevi l’accoglienza presso la base, intanto, la sua amministrazione ha chiesto alle istituzioni regionali e alla Protezione Civile un supporto economico. Dall’inizio del conflitto sono passati due mesi, che sviluppi ci sono stati?
«Il 6 marzo sono stata contattata dalla Protezione Civile, la quale ci ha richiesto la planimetria delle villette in vista di un imminente sopralluogo propedeutico all’effettivo inizio dei lavori. Tuttavia da allora nessuno si è più fatto vivo».

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