Traendo ispirazione dal diario personale del celeberrimo compositore, Nicola Costa propone una visione alternativa di uno giganti della musica e della cultura occidentale, portandone in scena al Teatro Canovaccio di Catania i travagli, l’intimità e il bisogno d’affetto

Teatri affollati, concerti, pianoforte, orchestre: è inevitabile che il nome di Beethoven sia associato a tutto ciò. Non è lo stesso però se si parla semplicemente di Ludwig, anzi, di “Dear Ludwig”, come se ci si rivolgesse a un amico o si scrivesse sulla pagina di un diario. Non è un caso che questo sia il titolo scelto da Nicola Costa per il suo spettacolo, in scena dal 6 al 9 dicembre al Teatro del Canovaccio (con lo stesso Costa nei panni di Ludwig, Franco Colaiemma in quelli di Goethe, Carmela Sanfilippo della Sguattera, Alice Sgroi dell’amata Teresa, Gianmarco Arcadipane dell’amico Wegeler, Angelo Ariosto del fratello Johann).

«La vita di Ludwig si può dividere in tre fasi e ogni volta è come se il protagonista fosse una persona diversa».

TRE BEETHOVEN. «Il Beethoven che ho deciso di portare in scena non è il personaggio di successo che tutti conoscono, ma è l’Artista afflitto da mille dubbi, la persona sofferente a causa della sordità e bisognosa di affetto e aiuto» afferma Nicola Costa, che ammette di aver riscontrato alcune difficoltà nell’interpretare il ruolo di un musicista pur non essendolo. «La vita di Ludwig – continua l’autore e regista – si può dividere in tre fasi e ogni volta è come se il protagonista fosse una persona diversa. Nel primo periodo, quello della formazione a Vienna dopo il trasferimento da Bonn, Beethoven è ancora un animo puro, che si lascia influenzare da musicisti come Haydn. Nella seconda fase, quella dell’affermazione a corte, il successo lo rende più autoritario al punto da opporsi a Napoleone quando viene eletto imperatore. Il terzo e ultimo periodo è quello dell’infermità, in cui la sordità e lancinanti dolori allo stomaco fanno diventare Ludwig melanconico, solitario e prossimo alla morte».

«La lettura del suo diario ha richiesto due anni di analisi e ricerche perché chi scrive un diario non lo fa in vista di una pubblicazione. Identificare tutti gli uomini menzionati da Ludwig è stato come comporre un puzzle di mille pezzi»

UN PUZZLE DA COMPLETARE. «Scrivere una drammaturgia partendo dalla lettura di un diario non è semplice, – confessa Costa – l’idea è nata casualmente dopo che un mio amico mi ha informato del ritrovamento dell’inedito diario personale di Beethoven. La sua lettura ha richiesto due anni di analisi e ricerche perché chi scrive un diario non lo fa in vista di una pubblicazione e si limita a citare le persone incontrate nel corso della vita semplicemente per nome. Identificare tutti gli uomini menzionati da Ludwig è stato come comporre un puzzle di mille pezzi».

«Ciò che più mi ha colpito è stato poter percepire la vergogna da cui era afflitto il musicista a causa della sua sordità: egli preferì apparire misantropo e scontroso pur di non ammettere che il suo allontanamento dagli uomini era dovuto alla perdita del senso più importante per un musicista, l’udito».

LA (DIS)UMANITÀ DI LUDWIG. «Nell’approcciarmi al testo del diario – afferma Costa – ho cercato un filo conduttore che mi permettesse di mettere in evidenza il rapporto di Beethoven con la madre e la famiglia, con Dio e con la musica, intesa non solo come arte, ma anche nel senso di musicisti a lui contemporanei, quali Mozart, Haydn, Schubert». La lettura del diario di Beethoven ha permesso di andare oltre l’artista e conoscere la persona: «Ciò che più mi ha colpito – aggiunge Costa – è stato poter percepire la vergogna da cui era afflitto il musicista a causa della sua sordità: egli preferì apparire misantropo e scontroso pur di non ammettere che il suo allontanamento dagli uomini era dovuto alla perdita di quel senso che proprio un musicista e compositore avrebbe dovuto avere molto più sviluppato degli altri, cioè l’udito».

«Ho coniugato musica e parole in uno spettacolo che non si conclude con la morte di Ludwig, ma con le stesse sinfonie d’apertura, proprio quelle che hanno generato l’immortalità di un mito».

BEETHOVEN ATTUALE E IMMORTALE. «Beethoven componeva musica per l’Arte, non per la folla, non per gli avidi di cuore, tanto da aver avuto il coraggio di opporsi alle richieste dei nobili della corte napoleonica e preferire esibirsi a teatro dietro compenso. Proprio a proposito dei pagamenti – ci dice Costa con allusioni non troppo velate alla situazione attuale degli artisti – dalle pagine di Beethoven emerge come già nell’800 vi fosse necessità di sollecitare i direttori teatrali per avere il denaro spettante e permettere all’artista di dedicarsi all’arte senza preoccupazioni materiali». Se questo tratto rende Ludwig un personaggio più che mai attuale, la sua musica lo rende un Artista immortale: «Ho coniugato musica e parole in uno spettacolo che non si conclude con la morte di Ludwig, ma con le stesse sinfonie d’apertura, proprio quelle che hanno generato l’immortalità di un mito» conclude con emozione Costa.

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