In pochi sanno che nel mondo ci sono studenti universitari che insieme all’inglese e al francese, studiano anche la lingua siciliana. Ma tutto questo, paradossalmente, non avviene in Sicilia. Nonostante sia ormai riconosciuto a livello internazionale come una vera e propria lingua – è persino dotato di un proprio codice ISO, a differenza dei dialetti – il siciliano è ancora ritenuto da molti un vernacolo regionale. Ciò spiega in parte perché per trovare una cattedra universitaria di “lingua siciliana” non bisogna andare a Palermo o a Catania…ma a Tunisi. Dietro questo curioso caso c’è la figura di Alfonso Campisi, già docente di filologia italiana e romanza presso la medesima università, il quale ha dato un contributo decisivo alla creazione, nel 2016, della prima cattedra di lingua siciliana al mondo all’università La Manouba. Ma come accade ad un professore trapanese di finire in Africa ad insegnare siciliano? Ci siamo fatti raccontare la sua storia. 

«Dopo dieci anni a Parigi – dove svolgeva un lettorato ndr – per cambiare aria, ho firmato un contratto da lettore per un paese con cui il ministero dell’università e della ricerca francese aveva una collaborazione – racconta Campisi – Mi avevano affidato Miami». Qualcosa va storto però, e Miami da un giorno all’altro non è più disponibile, nel frattempo si libera un posto a Tunisi. «Ho accettato – spiega  – La durata prevista dalla collaborazione era di due anni, ma si poteva fare una proroga alla scadenza. Così ho chiesto un terzo anno, poi il quarto, al quinto mi hanno detto: “o rientra a Parigi o cambia Ministero”. Ho cambiato Ministero dell’università e della ricerca e sono rimasto qui».

A Tunisi il professore Campisi ritrova l’aria di casa: «Notavo un accento simile al trapanese, gli odori, i colori, la cucina – ricorda – è stata una sorta di mémoire involontaire Proustiana, un improvviso ritorno a Trapani che provai passeggiando un giorno tra le stradine della bellissima città di Mahdia». Ed è approfondendo i legami tra la Sicilia e Tunisi riscopre la vicenda migratoria tra le due sponde del Mediterraneo e il fatto che ciò lo interessa molto da vicino. È lui stesso ad essere un “siciliano di Tunisi”.  

La sua familiarità, d’altra parte, non è un fenomeno isolato: «I siciliani – spiega – non si sono mai sentiti in un paese straniero». Questo antico legame è tutt’ora evidente nel lessico utilizzato dai siciliani di Tunisi: pieno di parole arabe e francesi “sicilianizzate”. Così il sarto, in francese couturier, diventa ’u custureru; l’immondizia, in arabo zebbla, diventa zibbula, il netturbino ‘u zibbularu o ancora pazzo, dall’arabo tunisino mahboul, diventa ‘u mahbbulu. L’aspetto linguistico appassionerà tanto Campisi da istituire, all’interno del master di italianistica della facoltà di lettere per cui lavora, “Sicilia per il dialogo di culture e civiltà”: la prima cattedra al mondo di lingua e cultura siciliana.

Oltreoceano, a Filadelfia, esisteva già un corso di lingua siciliana: un’attività pomeridiana dell’università della Pennsylvania che verrà istituzionalizzata solo qualche mese dopo la nascita della cattedra di Tunisi.  Ad oggi queste due università sono le uniche al mondo a studiare il siciliano in quanto lingua, con tanto di testo di grammatica siciliana a portata di mano per gli studenti. Rimane curioso come non ne sia nata ancora nessuna nell’Isola. Il professore Campisi ci aveva provato: «Inizialmente mi ero rivolto all’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – per istituire la cattedra “Sicilia” ndr – ma la mia richiesta è stata ignorata; non ho ricevuto alcuna risposta. Mi sono quindi rivolto al Ministero dell’istruzione tunisino e nel giro di cinque mesi è stata creata la cattedra».

Ma com’è stata accolta questa proposta dagli studenti arabi del master di italianistica dell’università La Manouba? «Eccezionalmente bene, non me lo aspettavo – confessa Campisi – la materia è complessa, io insegno filologia romanza e italiana con un certo rigore e non mi aspettavo tanta affluenza. Invece la maggior parte degli iscritti al master la sceglie, e spesso, essendo una materia opzionale, le altre rimangono senza studenti».La curiosità, la vicinanza culturale, la somiglianza con l’italiano, sono tanti i fattori che spingono i giovani tunisini a voler imparare il siciliano. «C’è molta curiosità per il siciliano – spiega il docente – Alcuni hanno amici siciliani, conoscono italiani di Tunisi, o li hanno come vicini di casa e li sentono parlare; altri vogliono semplicemente sapere di più della Sicilia perché magari hanno un parente o un cognome siciliano. Ho avuto diversi studenti di origine siciliana, oggi con nomi tunisini. Spesso erano le loro nonne o bisnonne che erano siciliane che si sono poi sposate con uomini tunisini, prendendo dunque il nome del marito; ecco perché i cognomi italiani si perdono ma il legame, le tradizioni spesso rimangono».

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