Diventato virale in breve tempo su tutti i social media, il trend ha subito fatto pensare ad un suo possibile utilizzo per l’addestramento di algoritmi per il riconoscimento facciale. Il docente dell’Ateneo catanese ci aiuta a comprendere meglio il complesso mondo dell’ IA e dei Big Data di cui il gioco a base di foto non è che l’ultima manifestazione

Condividere due foto di se stessi, una recente ed una scattata nel 2009. Questo è, per coloro che non frequentano il social media di Mark Zukerberg, il 10 YearsChallenge. Nel giro di pochi giorni il trend è diventato virale, ma con la popolarità sono cresciuti anche i sospetti: forse, si sono chiesti gli osservatori più attenti, dietro questa innocente iniziativa si nasconde invece un tentativo di accumulare dati sugli inconsapevoli utenti, probabilmente allo scopo di migliorare degli algoritmi di riconoscimento facciale. È una possibilità concreta? Come funzionano questi processi? E soprattutto, dovremmo preoccuparci?

NIENTE DI NUOVO. «Non credo ci sia da allarmarsi» sostiene il prof. Giovanni Gallo, direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Catania. «Programmi che, pur operando in base a meccanismi semplici, sono in grado di approssimare in modo piuttosto accurato il ringiovanimento e l’invecchiamento di un volto    ̶   ci spiega   ̶   esistono già da tempo». Ciò vuol dire che non ci sarebbe nessuna utilità nel raccogliere migliaia, o milioni, di immagini di volti? Non esattamente: «Oggi abbiamo a disposizione algoritmi di Deep Learning molto più sofisticati. Dunque non mi stupirebbe   ̶   prosegue   ̶   se dietro questa campagna si nascondesse davvero l’intento di raffinare i nostri strumenti: con questa mole di dati si potrebbero ottenere dei risultati impressionanti».

LA SVOLTA INFORMATICA. Collezioni di dati come l’album fotografico di tutti 10 YearsChallenge, in gergo informatico si chiamano Big Data e rendono possibili cose impensabili fino a pochi anni fa. «Se già conservare una grande quantità di dati è un problema che solo una macchina può risolvere   ̶   ci spiega Gallo   ̶   riuscire ad analizzare milioni di coppie di volti è un compito insormontabile per un essere umano». Qui entra in gioco il Deep Learining «ovvero meccanismi con cui si addestra un computer ad individuare regolarità». In altri termini, presentando a qualcuno una decina di foto egli potrà farsi una buona idea di come invecchi un volto umano; tuttavia fornendone milioni ad una macchina opportunamente programmata, il risultato sarà enormemente più accurato.

I DATI SONO OVUNQUE. Dunque, è solo condividendo foto sul nostro social media preferito che partecipiamo, inconsapevolmente, all’addestramento di computer sempre più bravi nell’analizzare dati? La risposta, come abbiamo appreso da Cambridge Analitica, è negativa. Ma c’è di più: «Qualsiasi tipo di informazione è utilizzabile per scopi simili e non serve nemmeno accendere un pc, bastano gli smartphone». Soprattutto, nel mondo informatizzato di oggi, anche cose molto banali sono dati utili: «le nostre abitudini comunicative, cioè a chi scriviamo, a che ora, se riceviamo risposta o meno, sono completamente tracciabili». Dunque, quando ai mecchanismi di Deep Learning vengono fornite informazioni di genere molto vario, da come comunichiamo a dove ci troviamo, passando per le nostre abitudini di consumo, emergono regolarità simili a quelle trovate nelle foto postate sui social.

MECCANISMI DI DIFESA. «Anche se nessuno di noi [nell’era digitale] è eccezionale, cioè tutte le nostre abitudini sono riconducibili a regole   ̶   chiarisce Gallo   ̶   la tecnologia in sé è neutrale: ciò che permette a Google di informarmi sul traffico all’ora in cui vado via dall’ufficio potrebbe, in teoria, servire ad un ladro per svaligiare casa mia indisturbato». Sebbene non sia il caso di farsi illusioni sulla possibilità si sfuggire completamente alla raccolta di dati «a meno di non rinunciare completamente alla tecnologia», una forma di controllo moderata delle informazioni non è impensabile: «Per quanto riguarda gli aspetti più privati della nostra vita, come le preferenze politiche   ̶   conclude il professore   ̶   come un tempo avremmo evitato di andare ad un comizio, oggi possiamo tacere sui social e postare soltanto foto di gattini».

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email