«Democrazia, algoritmi, informazione: sono parole che devono sempre camminare insieme. Se le prime due sembrano contraddirsi, la mia paura è che la prima e l’ultima si trasformino in un ossimoro». Secondo Maria Pia Rossignaud, direttrice di Media 2000 / Osservatorio Tutti Media – ospite dell’evento organizzato dal Sicilian Post e dalla Fondazione Domenico Sanfilippo editore in collaborazione con l’Università, la Scuola Superiore e il Teatro Stabile di Catania – il futuro del giornalismo è racchiuso in questo trinomio, tra virgole, spazi e implicite congiunzioni. E anche precari equilibri, come ha evidenziato nella sua lectio magistralis il sociologo Derrick de Kerckhove, protagonista della serata, e di cui potete leggere qui. Quale funzione ha allora il giornalismo? Cosa dovrà fare per sopravvivere alle sfide del momento e tornare a immaginare il domani? Alla questione hanno risposto con video-contributi alcune grandi personalità del mondo dell’informazione e dei media.

TACCUINI E TOUCHSCREEN. «Cambiano gli strumenti, non cambia la funzione del giornalismo, ancora più indispensabile per preservare lo spirito critico che distingue l’opinione pubblica di una democrazia dalla curva urlante o dalla massa miope di un regime autoritario. Ma per farlo il giornalista dovrà dominare gli strumenti della tecnologia e non essere il ripetitore dei peggiori umori della rete». Per il presidente di Longanesi e già direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli il giornalismo potrà quindi espletare la sua funzione democratica se saprà cavalcare l’onda del cambiamento. La pensa così anche la data journalist e digital trainer Clara Attene: «Priorità del giornalismo del futuro è riflettere sulla consapevolezza tecnologica. Dobbiamo imparare a conoscere pregi e difetti degli strumenti che abbiamo in mano, capire che sono in grado di potenziare il metodo giornalistico, soprattutto quando si tratta di raccontare storie». Lapidaria e antitetica invece la posizione espressa dall’inviato de La Stampa Domenico Quirico: «Il giornalismo che verrà si dimenticherà della tecnologia e del dibattito sulla tecnologia perché il giornalismo non è tecnologia, il giornalismo è scrivere, per cui curiosità nei confronti della vita, degli uomini e della storia che si dipana nel presente. Questo dobbiamo narrare, questo non sappiamo più narrare. Il giornalismo deve recuperare la centralità assoluta della parola, delle parole come munizioni che scavalcano le montagne. Nella parola dobbiamo ritrovare il nostro rapporto con chi ci legge». Più dialettica la prospettiva di Giovanni Parapini, direttore di Rai per il Sociale, che sposa innovazione e tradizione. «Immaginare il futuro è quanto di più affascinante possa esistere ma va costruito sulle radici, perché le identità che hanno resistito al tempo sono base e nutrimento del futuro. Una visione senza passato non può esistere».

DRITTO AL CUORE. La domanda sul giornalismo che verrà e sulla sua funzione civica si annoda allora come un filo rosso ed empatico al cuore della professione: la comunità. Così per Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna, «dove c’è una comunità c’è un giornale, dove c’è un giornale c’è una comunità. C’è giornalismo lì dove c’è una comunità disposta a pagare perché i giornalisti indaghino e raccontino storie con onestà, facendo vibrare le corde di quella comunità». D’accordo Raffaella Silipo, caporedattore spettacoli de La Stampa che, abbracciando un concetto di comunità senza barriere, auspica un epilogo migliore a questa crisi. «Un piccolo lato positivo del difficile periodo che stiamo attraversando è che tutti ci siamo resi conto di quanto abbiamo bisogno di storie condivise che ci facciano sentire vicini agli altri. Il mio augurio è che possiamo, come comunità nazionale e internazionale, raccontarci ancora cosa significa essere uomini». È evidente che la stretta relazione tra giornalismo e comunità impone un valore principe: la fiducia. Ne è convinto Giovanni Zagni, direttore di Pagella Politica. «Perché dovrei fidarmi di te? È la domanda che gli utenti si fanno ogni giorno davanti a una notizia. Oggi siamo bombardati di informazioni ma paradossalmente la fiducia nei media è molto bassa: le infinite potenzialità di Internet sono fino ad ora un’occasione persa. La sfida del giornalismo del futuro sarà costruire un nuovo patto tra il pubblico e le testate che dia al primo informazione affidabile e ai media risorse per vivere e crescere».

«MIGLIORE O NON SARÀ». Fiducia e sostenibilità si profilano inevitabilmente facce della stessa medaglia. Lo sa bene Alberto Puliafito, direttore di Slow News che sul loro rapporto ha costruito il progetto editoriale della testata di cui è cofondatore, scommettendo su un format sperimentale che coniuga rigore giornalistico con concetti di storytelling e fiction mentre guarda a nuovi modelli di business. «Noi pratichiamo una completa separazione del mondo giornalistico dal mondo pubblicitario: le persone possono pagare quanto vogliono e quanto possono per sostenere il nostro giornalismo e crediamo che questa sia una soluzione alla crisi economica, professionale, di fiducia e di identità del settore. È il momento di provare a proporre soluzioni radicali». Il mondo dell’informazione è chiamato quindi a compiere un salto nel vuoto, propositivo ma fedele alla sua vocazione originaria. È un aut aut. Guido Tiberga, caporedattore province de La Stampa non ha dubbi: «Il giornalismo è sotto assedio. La crisi economica costringe le persone a rinunciare all’acquisto del giornale e porta gli editori a tagliare sulle redazioni e sulle pubblicazioni. In più c’è una generale disaffezione. Per avere un domani, per uscire da tutto questo, il giornalismo deve fare il suo mestiere, deve raccontare, ma deve farlo con una maggiore attenzione alla qualità. Raccontare non basta più, bisogna spiegare quello che succede e per spiegare prima bisogna capire. Il giornalismo di domani sarà un giornalismo migliore o non sarà».

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