Ci sono momenti, nella vita di ognuno di noi, in cui le circostanze ci mettono spalle al muro. E l’unica opzione che resta è reinventarsi. Lo sanno bene i RadioSabir, band siciliana per quasi dieci anni conosciuta come Niggaradio e poi “costretta” dall’invasività del politically correct a cambiare denominazione: «Poco prima della pandemia – racconta Daniele Grasso, tra i fondatori del gruppo – avevamo perso un paio di festival importanti a causa del nome. Chi sente i dischi dovrebbe capire come siamo schierati e quello che pensiamo. Per anni abbiamo portato quel nome con orgoglio. Ma ad un certo punto era diventato davvero difficile». Dopo quattro album, insomma, era giunto il momento di rinascere. Ed è qui che si inserisce l’idea del loro nuovo progetto discografico, vale a dire Cunti e Mavarii pi megghiu campari (DCave Records). Un disco che riflette, non a caso, sul tema dell’inquietudine: «Dal mio punto di vista – prosegue Grasso – faccio fatica a pensare ai periodi felici dell’umanità, che mi sembra una specie inquieta di per sé. Dopo eventi drammatici nella storia, il desiderio di rimettere le cose apposto, di ritrovare il senso della pace, si è invece tradotto in una sorta di oscurantismo intellettuale, morale, e mi sembra che lasci un senso di inquietudine a chi si affaccia alla vita ora, ma anche a chi ne ha vissuta già un po’. Mi è sembrata davvero che fosse l’età dell’ansia». Tuttavia, un rimedio c’è: ed è lo stesso che da sempre accompagna i RadioSabir nel loro viaggio: «La musica, certamente, non è la cura di tutti i mali, però aiuta. Quando questa è ben fruita, consente alla gente di respirare un po’ meglio. Anche noi siamo anime inquiete, ma attraverso il racconto, il cunto, abbiamo cercato di divertirci ed esorcizzare alcune paure».

VIAGGI E MAGIE. Ad aprire l’album della band che, oltre a Daniele Grasso (chitarre, basso elettrico, synth bass, sintetizzatori, voce e cori, suoni e rumori) oggi conta tra i suoi membri anche Peppe Scalia (batteria, percussioni, cori), Umberto Arcidiacono (percussioni, basso, marranzano, cori), Elisa Milazzo (voce e percussioni) e Maurizio Musumeci (Dinastia, rap) è, significativamente, Na buttigghia i vinu, compagna e fonte di consolazione di una donna che si trova ad affrontare cambiamenti, spesso pagati ad un prezzo pesante, come la solitudine. A seguire, il brano più personale: «U ferru – confessa Grasso – è dedicata a mio fratello, che è venuto a mancare poco tempo fa. Non volevo ricordarlo in modo triste, ma pensando che è un percorso: il ferro che abbiamo nel sangue ad un certo punto ritorna alla terra». Un viaggio diverso è quello di cui parla Ma cchi fai (ayaya), ovvero del fenomeno migratorio di chi lascia la Sicilia in cerca di qualcosa di meglio: «Negli ultimi anni quasi una cittadina come Caltanissetta o Enna si è trasferita all’estero. Non c’è niente di male, io stesso ho vissuto all’estero per tantissimi anni, è un’esperienza, il problema è essere costretti. È un invito, soprattutto per la popolazione più giovane, a guardare con altri occhi questa terra e pensare, come diceva il vecchio film Frankenstein Junior che SI PUÒ FARE!». Anche perché in Sicilia c’è una sorta di magia nell’aria, come i RadioSabir cantano in Voodoo Med, una forma che risiede non solo nel suo mare, nella sua terra, nelle persone.

TEMPO E RIVOLUZIONE. A scandire il fluire dei racconti, non può mancare di certo il tempo (Ci voli tempu): «A un certo punto della propria vita, – spiega ancora Grasso – ed io me ne sono accorto in un certo momento, tu paghi tutto quello che vuoi ottenere con un’unica moneta che è il tuo tempo. Ci vuole tempo per fare qualunque cosa, e noi tendiamo a sottrarlo spesso e volentieri al vivere vero e proprio. Quindi l’invito è quello di usare il proprio il tempo al meglio, perché poi non ne avrai in cambio altro». C’è anche un tempo per farsi sentire, come in A Rivoluzioni un si fa chi social: «Il titolo è una rivisitazione di “Revolution will not be televised” di Gil Scott-Heron , che noi abbiamo adattato ai tempi. È un rimprovero a tutti noi, perché non basta scrivere sui social che siamo indignati, ma bisogna scendere in piazza, incontrare la gente».

«Noi vi raccontiamo qualcosa
per come lo sentiamo, ma magari poi
voi lo farete vostro. A volte anche una canzone può aiutare a migliorare la consapevolezza e il sentire

Daniele Grasso, chitarrista e fondatore dei RadioSabir

LIBERTÀ ED EQUILIBRIO. Pozzu capiri u sai che tu ti scanti va / ca un russettu è chiù forti i na pistola / parra di libertà di luci e virità cussi mi chiami e mi dici ca iu sugnu na / Iarrusa, iarrusa dici a mia / iarrusa iarrusa iarrusa comu a tia. Cantano così in Iarrusa, brano ispirato e dedicato alla donna iraniana Yasaman Aryani, «incarcerata solo perché ha deciso di salire su un autobus, togliere il velo mostrando le labbra truccate di rosso» e a tutti coloro a cui viene negata la libertà. Ci sono brani, poi, come 10.600 iorna, che ti fanno riflettere su come acquisire consapevolezza, attraverso errori e sofferenze: «Sono quasi 30 anni. Abbiamo immaginato una donna che il giorno del proprio 30esimo compleanno si trova sola, dopo una relazione finita, c’è una bassa luce che filtra, mentre fuori sta albeggiando, la tv accesa, una bottiglia mezza vuota in mano e la canzone inizia con quello che ognuno di noi direbbe quando si rende conto di aver sbagliato tutto: Merda!». Su questa medesima scia si colloca E resta ‘cca, la storia di una donna innamorata dell’uomo sbagliato, che la abbandona, e ad un certo punto apre gli occhi verso soluzioni alternative. A chiudere l’album è Seggia sghemba: «Una sedia storta, scomoda, sulla quale la storia ci ha fatto accomodare e su cui siedi in precario equilibrio. Il nostro è il punto di vista sul Sud del mondo».

MESSAGGIO AMPLIFICATO. C’è, insomma, in questo disco che vede anche la partecipazione di Vanessa Pappalardo, prima storica voce della band, il tentativo di veicolare, attraverso una ritmica potente e quasi vitale, attraverso la sapiente miscela di blues e radici siciliane che riflettono la doppia anima di Daniele Grasso, un messaggio universale e amplificato. Un po’ come il sabir, la lingua franca diffusa nel Mediterraneo per quasi mille anni, tra l’800 e il 1800. «Noi – conclude Grasso – vi raccontiamo qualcosa per come lo sentiamo, ma magari poi farete vostro. A volte anche una canzone può aiutare a migliorare la consapevolezza e il sentire». In fondo, ognuno di noi nel proprio piccolo può portare un miglioramento nel mondo, e chissà. Come sempre ci voli tempu.

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