Per singolare coincidenza, mentre il mondo attende che il vaccino ponga fine alla pandemia, certo con un carico di attesa di “salvezza” incomparabilmente maggiore di quella che si vive attorno al presepe nell’attesa di Gesù Bambino, i siciliani sono chiamati a sperimentare di nuovo l’infinita piccolezza di ciò che siamo.

Si apre la schermata su teams e, mentre i volti si accampano sullo schermo chiedo ai miei alunni; «Allora, come state ragazzi? Paura, eh». Se i commenti dei miei colleghi sulla chat hanno la corazza dell’ironia («adesso mancano solo le cavallette e l’asteroide») i ragazzi sono più disposti a condividere le loro debolezze. «Professore, è stato bruttissimo – confessa Lisa – a un certo punto i miei cani sembravano impazziti. Loro abbaiavano e io non riuscivo a calmarli. Poi la scossa. Sono rimasta paralizzata. Gridavo a mia sorella di uscire, ma io non riuscivo a muovermi». I racconti delle reazioni inconsulte proprie o altrui si susseguono.

«Beh, prof. – osserva la mia studentessa Silvia – penso che di qualcosa si debba pur morire. È inutile allora affannarsi troppo»

«Cosa ci dice quanto è accaduto? e cosa vi ha permesso poi di addormentarvi?» chiedo loro infine. «Nonostante gli sforzi per restare sveglia, alla fine mi ha vinta il sonno» afferma Carlotta ridendo tra i ricci. «Nel terrore di un’altra scossa, io e la mia famiglia siamo andati a letto vestiti» ammette Laura senza timore di rivelare la propria pavidità.  «Beh, prof. – osserva Silvia laconicamente – penso che di qualcosa si debba pur morire. È inutile allora affannarsi troppo». Giuseppe associa le parole della sua compagna di classe a un episodio che ha sentito raccontare del terremoto del Friuli 1976. «Una signora era appena uscita di casa per andare a prendere il figlio che si attardava nella sala giochi del paese. Sente la scossa, si gira e vede la casa sbriciolarsi con il resto della sua famiglia».

I racconti semplici dei miei alunni hanno la varietà delle reazioni dell’umano davanti a ciò che ci supera infinitamente. «Mi sono sentito piccolissimo e impotente» spiega ancora Giuseppe raccontando di sé. Nel mio alunno affiora la percezione enigmatica dell’esistenza umana. L’esigenza di un senso delle cose e l’apparente insensatezza di tutto. Al fatalismo di Silvia mi viene più semplice rispondere. Davanti alla forza debordante della natura non basta constatare che “tanto bisogna pur morire”. «Se in questi anni non si fosse costruito con tecniche antisismiche – le faccio osservare – forse adesso staremmo a piangere tra le macerie». L’atteggiamento di Carla, che ha resistito nella veglia sino a quando non è stata vinta dalla stanchezza e dal sonno mi ricorda quello nostro davanti al virus. Il tentativo ansioso di controllare la realtà si rivela subito illusorio e sfiancante.

La nostra vita dipende da qualcosa di imponderabile che forse ha i tratti di una compagnia che ci permetta di addormentarci, come da bambini, e magari la notte scorsa, nell’abbraccio di chi ci vuole bene

La nostra vita non è nelle nostre mani. Essa dipende certamente da qualcosa di imponderabile, come intuisce Giuseppe. Ma che faccia ha? Si tratta di un ignoto senza volto né nome, che sempre incombe minaccioso sull’orizzonte ogni circostanza, oppure di un Mistero capace di una compagnia tenera e forte che ci permetta di addormentarci, come abbiamo sperimentato da bambini, e magari la notte scorsa, nell’abbraccio di chi ci vuole bene?

C’è appena il tempo per gli auguri. Rinuncio al politically correct: «Il Natale è proprio questo: – dico loro – il Mistero che ha fatto il cielo e le stelle, non ce la fa a rimanere distante da questa cosa minuscola e apparentemente insignificante che siamo noi uomini e donne, e ci mostra il suo Volto». Non un’idea da contemplare, una morale davanti a cui capitolare, un sentimento in cui crogiolarsi. Si fa carne. Solo ciò che ha una carne, infatti, non è producibile dai nostri sforzi o dai nostri pensieri. Si può abbracciare. Ci rende evidente che non siamo soli e per questo capaci di affrontare quanto di arduo e di bello ci sarà dato da vivere domani… e possiamo addormentarci tranquilli.  

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