«Come in un limbo»:
l’attesa dei migranti
nella prima accoglienza

«La loro condizione psicologica è di totale sospensione, adottano un atteggiamento passivo e temono molto le istituzioni». È la testimonianza di Margherita Ragonesi, una psicologa siciliana che ha lavorato all’interno di un centro d’accoglienza per minori non accompagnati

Margherita Ragonesi è una psicologa siciliana di 32 anni che per un lungo periodo ha lavorato all’interno di un centro d’accoglienza per minori non accompagnati a Gela. Non è semplice comprendere la situazione in cui questi ragazzi si trovano e quali sono le falle del sistema; quel che è certo è che comprendere il più possibile è un dovere. Abbiamo chiesto alla dottoressa di condividere con noi la sua esperienza professionale e umana.

PRIMA ACCOGLIENZA E STATO DI SOSPENSIONE. «Il centro d’accoglienza ha come primo obiettivo accogliere chi arriva subito dopo lo sbarco, dando loro i beni di prima necessità. La prima accoglienza in sé è questa e dovrebbe durare 30 giorni», racconta la psicologa. Il problema è che spesso i tempi di attesa si allungano e l’iter previsto si blocca: «La loro condizione psicologica è di totale sospensione, non sanno quando sarà il loro turno per andare in questura e poter fare la richiesta di protezione internazionale ottenendo quello status che gli permetterà di non essere più irregolari. Consapevoli di questa condizione, adottano un atteggiamento passivo e temono molto le istituzioni. Tutto questo già può in breve dare un’idea delle falle del sistema e delle relative conseguenze».

DA DOVE ARRIVANO I SOLDI. Uno dei temi più dibattuti della questione riguarda l’aspetto economico, in particolare su come i centri vengono finanziati e come sono distribuiti i soldi: «A occuparsi di quest’ambito sono le cooperative; vincono dei bandi tramite delle domande che vengono fatte alle prefetture, dopodiché se idonee, ricevono l’ok per poter agire. Accedono ai fondi europei, i quali arrivano prima ai Comuni e spesso può capitare che questi, essendo in deficit, li usino per risolvere i problemi interni, ritardando dunque i pagamenti alle cooperative, da qui il primo intoppo». Altro “tormentone” è stato quello relativo ai presunti 35 euro al giorno che i migranti arrivati da noi avessero in concessione senza fare nulla, ma anche qui la precisazione è importante: «Tendenzialmente la cooperativa prende intorno ai 45 euro al giorno per ogni persona presente al centro, di cui solo 1,50 euro al giorno va al migrante, questo significa 45 euro complessivi al mese. Questi soldi vengono dati alla cooperativa che gestisce il centro d’accoglienza per affrontare tutte le spese necessarie, ma come accennavo prima possono esserci dei ritardi nell’arrivo dei fondi e questo può creare caos».

MIGRANTI E ECONOMIA. Quello che spesso non si dice ma che potrebbe essere facilmente intuibile è che la presenza di queste persone contribuisce all’economia, come ricorda la psicologa: «Fanno la spesa nei supermercati del paese, vengono iscritti ai corsi di alfabetizzazione in lingua italiana. Tanti educatori, psicologi e mediatori culturali lavorano nei centri d’accoglienza. Ricordo ancora molti presidi che ci chiamavano disperati quando le classi create per i ragazzi si svuotavano lasciando molti insegnati a casa».

LE STORIE. Conoscendo ciò che questi migranti rischiano per compiere un viaggio e arrivare fin qui, viene spontaneo porsi una domanda: perché? Perché rischiare la vita per arrivare in un luogo in cui si continuerà di fatto a non avere certezze? La risposta è semplice: desiderano trovare un luogo in cui costruirsi un futuro migliore, proprio come molti di noi e inoltre pare che non sempre siano pienamente al corrente di quanto li aspetti: «Nella stragrande maggioranza dei casi prima di arrivare da noi – racconta la psicologa – questi ragazzi sono stati ben due anni fuori, compiendo dei giri assurdi con la continua promessa di arrivare in un luogo in cui poter lavorare. Molti mi hanno anche detto di essere stati spinti con forza ad imbarcarsi nei gommoni. Si ritrovano ad essere ingannati con false promesse fatte da trafficanti senza scrupoli, e non mancano anche i casi di tratta di esseri umani. La situazione è complicata e loro sono vittime di un sistema economico perverso che sta al di sopra di loro e di noi tutti».

INTEGRAZIONE E RAZZISMO. Comprendere culture distanti dalla nostra, vedendo nelle differenze una ricchezza e non una minaccia sembra essere ormai alquanto complicato. In un centro d’accoglienza ti ritrovi a vivere con persone differenti per storie e culture e spesso anche i ragazzi trovano una certa difficoltà a convivere tra di loro. Un episodio raccontato dalla dottoressa Ragonesi però racchiude un po’ la situazione: «Una volta ho accompagnato un gruppo di loro a fare un giro per Gela, un ragazzo siciliano col motorino si è scagliato contro di noi urlando a uno dei ragazzi di andarsene. Questo mi ha guardato negli occhi con l’espressione di chi pareva dire “Cosa ho fatto?”. Ho dovuto così spiegargli io la situazione, cercando di fargli comprendere come alcune persone si sentano minacciate dalla loro presenza». Poi continua: «Integrasi per loro è complicato, e per questo pur di mantenersi finiscono col rimpinguare le maglie della malavita. Sono“gli ultimi tra gli ultimi” ed è davvero difficile far rispettare i loro diritti e far capire loro che li hanno. I flussi migratori sono sempre esistiti, c’è sempre stata gente con il bisogno di muoversi. Non bisogna dimenticare infine che se pur ormai se ne parli quasi come un’entità a sé, parliamo di persone. Persone che hanno deciso di spostarsi per migliorare le proprie condizioni di vita, proprio come potrebbe capitare a chiunque di noi».

 

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