Una foto di cronaca che risale al 9 settembre 2013. Molti si ricorderanno della vicenda del protagonista della foto ma molti e soprattutto i giovani sicuramente no. 

Dall’immagine non si capisce il luogo ma si legge chiaramente sul volto dei due personaggi in primo piano una forte emozione di contentezza, di “liberazione”. Si riconosce Emma Bonino emozionata e affettuosa che stringe il braccio dell’uomo vicino a lei. C’è un carabiniere alle spalle, in fondo un azzurro quasi a sottolineare la sensazione di soddisfazione, di gioia. Cosa succede? Anche dei due uomini a fianco si ha l’impressione che siano soddisfatti e concentrati a guardare il protagonista che stringe un sacco nero. Pieno di cosa?

Questa fotografia di cronaca ricorda un giorno, un momento importante: il giornalista Domenico Quirico, inviato del quotidiano La Stampa, dopo cinque mesi di prigionia in Siria viene liberato insieme al politologo ricercatore belga Pierre Piccinin. All’aeroporto di Ciampino ad accoglierlo: l’allora ministro degli Esteri, Emma Bonino, il capo dell’Unità di crisi, Claudio Taffuri, e il segretario generale della Farnesina, Michele Valensise. Un momento di gioia, una orribile vicenda finita bene!

«Ho sentito alcune cose, ma francamente è come se fossi vissuto cinque mesi su Marte, ho scoperto che i miei marziani sono malvagi e cattivi»

Domenico Quirico

L’8 settembre 2023: un anniversario alla vita, alla vita ritrovata che sembrava persa, dimenticata. La sua odissea era cominciata cinque mesi prima, il 9 aprile, tre giorni dopo il suo arrivo a Damasco. “Chiedo scusa”, ha detto nella prima telefonata al direttore Mario Calabresi, “per avervi fatto preoccupare ma questo è il mio giornalismo. È stata una terribile esperienza, cinque mesi sono lunghi ma ce l’ho fatta. Mi sembra di essere stato su Marte, adesso sono tornato sulla terra e ho appreso alcune notizie di come si è evoluto il mondo. Chiedo scusa ma tu – ha detto ancora Quirico a Calabresi – sai qual è la mia idea di giornalismo, di andare dove la gente soffre e ogni tanto tocca soffrire come loro”.

Le sue prime dichiarazioni, all’arrivo all’aeroporto di Ciampino sono state: “Ho sentito alcune cose, ma francamente è come se fossi vissuto cinque mesi su Marte, ho scoperto che i miei marziani sono malvagi e cattivi.”

«È un dovere ricordare chi come Quirico rischia per testimoniare la realtà, per documentare guerre, conflitti, situazioni al limite dell’umano.
A molti non è andata bene: penso a James Foley
o alla scomparsa di Padre Dall’Oglio»

Questa immagine l’ho vista per la prima volta tre anni dopo l’episodio quando il moderatore di un incontro sull’immigrazione ha preso spunto dal libro Esodo di Domenico Quirico per raccontare la sua biografia. La notizia mi aveva raggelato e ricordo di avergli fatto domande banali come probabilmente tutti quelli che lo avevano visto appena ritornato, fortunatamente sano e salvo. Ricordo che aveva ancora voglia di tirare fuori la rabbia accumulata. Certamente ho provato imbarazzo per non aver saputo del suo sequestro e allora avidamente ho subito raccolto informazioni, visto i video, soprattutto quelli del suo arrivo in Italia, quello delle sue figlie, quelli successivi delle sue dichiarazioni in pubblico. Ho anche cercato e conosciuto vicende analoghe di altri reporter. Mi sembra che sia riduttivo relegare la sua vicenda, così come quella di altri, ad un fatto di cronaca, perché il sequestro di Quirico pone l’accento su quanto sia rischioso il mestiere di inviato di guerra e su quanto il Male sia espressione dell’animo umano.

È un dovere ricordare chi come Quirico rischia per testimoniare la realtà, per documentare guerre, conflitti, situazioni al limite dell’umano. La sua storia, e questa foto lo testimonia, è finita bene ma per molti l’epilogo è stato drammatico: James Foley che è stato ucciso dall’Isis in diretta video, Giovanna Sgrena che durante la liberazione ha subito un attentato con vittime e feriti. Molti reporter, molti fotoreporter rischiano la vita per far sapere a noi cosa succede nel mondo. Quella della testimonianza si accompagna ad una realtà che vede coinvolte altre professioni che si adoperano per aiutare chi è in situazioni disperate come i cooperanti, i religiosi, i volontari. Un esempio di cooperante siciliano morto durante il sequestro è Giovanni Lo Porto (Quirico su di lui ha scritto un libro), così come Padre Dall’Oglio, un gesuita che aveva fatto della sua comunità in Siria un luogo di accoglienza interreligiosa e che è sparito da oltre dieci anni.

Dentro a quel sacchetto forse Quirico tiene stretta l’angoscia accumulata, i visi dei rapitori, i luoghi dove ha dormito, i volti degli anziani e dei bambini avvolti dal Male, i suoni dei bombardamenti,
i pensieri di quei 152 giorni

Un rapimento può avere scopi diversi: denaro, scambi, sostituzioni, dimostrazione di forza, vendetta e chissà cos’altro. Un sequestro in Siria come quello che ha subito Domenico Quirico è organizzato da soggetti armati che non hanno nulla da perdere. Uomini che trattano altri uomini come bestie, che tentano di dimostrare con la forza, con la violenza la loro superiorità e la loro capacità di saper dominare. “Sono state settimane e mesi di grande preoccupazione – aveva dichiarato Bonino – I contatti accesi hanno avuto un periodo di mancata comunicazione, e naturalmente la preoccupazione di tutti cresceva. Per Quirico abbiamo sempre avuto elementi di speranza perché come dicevo prima… i contatti si accendevano e si spegnevano, ma andavano solidificandosi, e alla fine si sono dimostrati solidi. Per padre Dall’Oglio al momento i contatti sono minori, e purtroppo anche meno solidificati”.  

Come è riuscito Quirico – e altri come lui – a vivere di fronte alle false esecuzioni di morte, alle botte, ai continui cambi logistici, all’assenza di sonno, di cibo? Come avrà vissuto Quirico in quei cinque interminabili lunghi irrespirabili mesi? Come vivono i giornalisti che subiscono le stesse punizioni? Loro vanno, rischiano per scrivere, per fotografare, per far conoscere a noi situazioni che spesso non leggiamo, non guardiamo, di cui non vogliamo sapere nulla.

Dentro a quel sacchetto forse Quirico tiene stretta l’angoscia accumulata, i visi dei rapitori, i luoghi dove ha dormito, i volti degli anziani e dei bambini avvolti dal Male, i suoni dei bombardamenti, l’odore della polvere, del terreno carico di nauseabondi odori, le parole, i pensieri di quei 152 giorni. Il viso di Quirico non lascia dubbi sulla sua spossatezza, sofferenza, anche se sollevato e contento. L’immagine è bella per la sua liberazione! Un invito a ricordare e a sperare per tutti una simile conclusione. Noi dobbiamo sapere, i giovani devono conoscere cosa è il Male, come milioni di persone vivono in condizioni inimmaginabili e così oggi possiamo continuare a leggere ciò che Domenico Quirico scrive sul giornale, nei suoi libri e sentire la sua voce, le sue parole nei telegiornali, nei podcast, negli incontri.


MEMORIE DI UN OSTAGGIO

Riporto dal mio libro “Il fascino dell’imperfezione. Dialoghi con Domenico Quirico”, edito da Jaca Book, dallle note del quarto capitolo intitolato “La prigionia. La vita”, a pag. 235, un estratto della trascrizione dell’intervista rilasciata a TV2000:

Qual era il pensiero ricorrente, quello che ti tornava alla mente in questi 5 mesi?

«Beh, il pensiero ricorrente era la mia famiglia, ma un elemento che forse può darvi la misura di cosa significa affrontare non 152 ma ogni secondo che è in 152 giorni. Perché la lotta dell’ostaggio non è contro una dimensione del tempo così grande, è contro una dimensione infinitesimale del tempo, cioè è ogni secondo che ti devi conquistare e devi lasciare dietro. Ogni secondo che è vuoto perché non hai niente: sei in una stanza, una porta chiusa, non accade nulla, non sai per quanto tempo questo durerà.

Allora l’idea è che in realtà quella fosse la mia nuova vita e la mia vita precedente, cioè la mia vita, la mia famiglia, tutto quello che era prima dell’8 aprile 2013, fosse qualche cosa che apparteneva ad un passato e a cui non potevo neanche più riferirmi nella chiave del ricordo perchè mi dava dolore. E allora dovevo costruirmi un’esistenza che cominciava l’8 aprile 2013, in cui la mia vita era quella stanza chiusa, era quell’essere ostaggio e ad un certo punto ho anche immaginato che in realtà io fossi morto nel momento in cui sono stato preso, perché c’era stata una sparatoria, poi è finita… che in realtà fossi stato colpito, fossi morto, fossi passato dalla vita alla morte senza accorgermene. E quella condizione: la stanza chiusa, l’impossibilità di fare nulla, l’assenza di ogni dimensione di comunicazione che non fosse quella con i miei carcerieri, in realtà fosse il vero inferno che non è quello di Bosh, che non è quello delle rappresentazioni della pittura barocca…. Il fuoco, i diavoli… o quella dantesca. In realtà è l’assenza di tutto: è una stanza vuota. In realtà quel momento mi pareva più simile all’inferno, se c’è, e probabilmente c’è, che questa assenza di tutto. Non potere aprire una porta, non potere uscire e immaginare centinaia, migliaia di giorni così, in quel vuoto».

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