Michele Dara, autista 50 enne della provincia di Catania, da 10 anni intrattiene rapporti epistolari con gli italiani più soli: chi è rinchiuso nelle nostre carceri. Una storia di ordinaria bontà

Ogni giorno milioni di italiani si svegliano, si vestono, escono di casa e interagiscono con la gente che incontrano per strada. Gesti che fanno parte della quotidianità di ognuno di noi, o quasi…Ci sono persone per le quali una chiacchierata sul tram la mattina o un caffè in compagnia degli amici al bar del paese non sono cose affatto scontate, e queste persone sono i detenuti; ed è proprio a loro che Michele Dara regala un sorriso ogni giorno della sua vita.  50 anni e una carriera da autista a San Michele di Ganzaria, un paesino di 3000 anime in provincia di Catania dove è nato e cresciuto, Michele è una persona comune come tutti noi. Se non fosse che da più di 10 anni dedica il suo tempo agli emarginati dalla società, a chi si trova dietro le sbarre di un penitenziario ed è dimenticato da tutti. Tutto è iniziato quando un caro amico di Michele, Fabio, è stato arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti e condannato a 6 anni di reclusione. Michele ha scelto di non abbandonarlo dimostrandogli che le amicizie, quelle vere, sono capaci di superare qualsiasi ostacolo anche quando Fabio è sprofondato in una profonda depressione che lo ha portato a tentare il suicidio nel maggio del 2009.

BASTA UNA PAROLA. «Mi hai salvato dalla morte dell’anima, e mi hai fatto vedere che anche per le anime marce come me c’è una speranza» scrive Fabio in una lettera indirizzata all’amico. Furono proprio queste parole a cambiare la vita di Michele e a fargli capire che la sua missione nel mondo sarebbe stata quella di dedicarsi ai detenuti, perché a volte una parola di conforto può salvare la vita di qualcuno. Michele Iniziò così una corrispondenza epistolare con i reclusi nel carcere di Bollate, un comune in provincia di Milano, dove Fabio stava scontando la sua pena, a volte andava a trovarli instaurando con loro delle vere e proprie amicizie. Il cappellano, resosi conto dell’impatto positivo delle sue parole, ne discusse col direttore del penitenziario Fabrizio Rinaldi. Michele fu invitato a perseverare nel suo tentativo di creare umanità laddove si smette di essere umani.

DARE E RICEVERE. Da quel giorno Michele inizia ad inviare lettere non soltanto al carcere di Bollate ma anche ai detenuti che stanno scontando la loro pena in diverse carceri d’Italia. Il 23 novembre 2019 scrive in una missiva indirizzata a Salvatore P.: «Questa esperienza di vita mi ha regalato tante emozioni, mi fa sentire vivo e completo; è grazie ad essa che ho colmato il vuoto che sentivo che mi faceva sentire incompleto su questa terra. Ho imparato tanto da voi: a saper ascoltare nel senso più profondo della parola, a farlo con il cuore; a liberarmi dai pregiudizio perché io non sono nessuno per giudicarti. Quando abbracciai il Santo Padre durante la sua visita pastorale a Piazza Armerina nello scorso settembre gli sussurrai di pregare per te».

In un mondo reso sempre più sterile ed insensibile ai sentimenti ed al dialogo una storia di eroismo quotidiano come questa ci regala la speranza che la società in cui viviamo possa un giorno diventare migliore. Forse basta un po’ di coraggio per fare del bene e tutto il resto è secondario.

* Studentessa del corso di Storia e Tecnica del giornalismo dell’Università degli Studi di Catania tenuto dal prof. Giuseppe Di Fazio

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