L’arte come la salicornia nel progetto nato tra Kiev e Catania

Cinque centri culturali, due in Sicilia, gli altri in Germania, Slovacchia e Ucraina. Tutti e cinque sorti sui resti di siti industriali abbandonati: era una ex raffineria di zolfo il Centro Zō di Catania, mentre i palermitani Cantieri della Zisa ospitavano le officine Ducrot; a Zilina in una ex stazione ferroviaria del periodo liberty si è sviluppato il True Sperique, la tedesca Zentralwerk a Dresda è stata invece una fabbrica di armi nel periodo nazista e poi una tipografia durante il comunismo; infine, l’ucraina Izolyatsia aveva trovato la sede in una miniera di sale nel Donetsk. Cinque centri culturali adesso messi in rete su iniziativa di Zō, capofila del progetto “Cantieri in movimento – Industrial Heritage Soundscapes”, che ha l’intento di recuperare la memoria di ex siti industriali, adattandola ai tempi moderni e relazionandola con la città.

«Era da un po’ di tempo che ragionavo sulla possibilità di attivare dei percorsi di valorizzazione dei siti di ex archeologia industriale», spiega l’attrice Pamela Toscano, responsabile organizzativo del Centro etneo e ideatrice del progetto. «Queste sedi sono luoghi strani, un po’ ibridi che raccontano una storia spesso caduta nell’oblio, come nel caso del sito delle Ciminiere legato alla storia dello zolfo in Sicilia. Però, mentre sulla parte relativa alle miniere e quindi anche sull’estrazione dello zolfo e sulle condizioni dei lavoratori, c’è molta letteratura, esistono canti popolari e una vasta documentazione, tutto quello che invece ha a che fare con cosa è successo nell’ultima fase di questo processo, per quale motivo a un certo punto lo zolfo anziché essere lavorato direttamente in loco è stato spostato qua e come si è organizzata di conseguenza la città, tutto questo di fatto non viene raccontato. Così non viene percepito il legame tra la comunità, in questo caso catanese, e tutta la storia dello zolfo. Si perde quella sensazione che quando vado a leggere Rosso Malpelo, per dirne una, o Ciàula questa cosa mi riguarda da vicino. E questa impressione devo dire che l’ho notata anche in altri luoghi di archeologia industriale».

Pamela Toscano: «Raccontare con linguaggi contemporanei cinque luoghi di ex archeologia industriale. Ricostruire le origini e mettere il passato in relazione con i tempi di oggi e con la città»

Per spiegare questo rapporto con la città, attraverso un lavoro di documentazione e con l’aiuto di una grafica francese, Pamela Toscano l’ha inizialmente tradotto in un wallpaper che accoglie i visitatori all’ingresso del Centro Zō. Poi la pubblicazione del bando del ministero che aveva a che fare con l’internazionalizzazione e la mobilità degli artisti è diventato lo spunto per mettere insieme cinque luoghi di ex archeologia industriale e raccontarli con linguaggi contemporanei. E per ricostruire le origini e mettere il passato in relazione con i tempi di oggi e con la città sono stati costituiti cinque team di lavoro, selezionati e coordinati dalla stessa attrice catanese, dal musicista Mario Gulisano dell’associazione Darshan, dal musicista trapanese Alfredo Giammanco, mentor per conto di Curva Minore, e dal direttore artistico Teho Teardo, popolare artista che è passato con disinvoltura dal clarinetto al punk e ai campionatori, imparando a memoria la lezione della musica elettronica, innamorato di cinema e teatro: il più autorevole musicista per giudicare paesaggi sonori.

I team, composti da videomaker e musicisti espressione dei cinque centri culturali coinvolti nel progetto, sono già al lavoro. «In questa fase l’attore puro è stato un po’ penalizzato», si rammarica Pamela Toscano. «Anche perché l’attore puro non ha l’istanza autoriale o creativa. Questo è invece un lavoro creativo in cui devi essere anche autore. D’altronde è la direzione verso la quale sta andando anche il teatro in Italia: si va verso la performance, sempre meno verso l’attore scritturato e puro».

I risultati verranno presentati in settembre. Dapprima in ciascun Centro con la propria performance, poi tutti allo Zō di Catania. Con l’incognita Ucraina. «Il Centro, essendo nel Donetsk, è stato evacuato», racconta Pamela Toscano. «Molti si sono spostati a Kiev, alcuni si sono rifugiati con le famiglie al confine con la Slovacchia. Noi restiamo in contatto con loro, alcuni sono anche miei amici. Sono due gli artisti ucraini che stanno lavorando con l’attrice e musicista catanese Marina La Placa. Stanno tentando di andare avanti, ovviamente il loro progetto si è modificato, nel senso che raccontare il luogo in questo momento significa raccontare la guerra e quindi probabilmente questo faranno. D’altra parte ci si confronta con la realtà». «E non possiamo non tenerne conto», interviene Teho Teardo. «L’importante è infatti nell’informazione che dà il lavoro».

Teho Teardo: «Durante questa camminata avventurosa, abbiamo incontrato la guerra in Ucraina. Non siamo soltanto spettatori, ma viviamo la tragedia»

A incuriosire il musicista di Pordenone è stata «l’interdisciplinarietà del progetto», spiega. «Passare da un ambito all’altro equivale a rinunciare alle certezze per trovare qualcos’altro. Significa vivere in una condizione di allerta dei sensi, aprire porte che non pensavamo ci fossero, uscire da un ambito artistico per entrare in altri. È una camminata avventurosa importante».

Un altro elemento che ha convinto Teardo a prendere parte all’iniziativa del Centro Zō è il respiro internazionale, «il dialogo fra persone che parlano con altre lingue, che hanno sistemi di pensiero diversi», sottolinea. «Ahimé, durante questa camminata avventurosa, abbiamo incontrato la guerra in Ucraina. Impensabile all’inizio, anche da parte degli stessi ucraini e poi esplosa con il suo carico di morte e distruzione. In questo modo il progetto ci ha avvicinato al momento terribile che stiamo vivendo, e quelle persone che stanno affrontando esperienze terrificanti informano il nostro lavoro. Non siamo soltanto spettatori, ma viviamo la tragedia».

Marina La Placa la tragedia l’ha vissuta in diretta. L’attrice e suonatrice di theremin fa parte dei magnifici sette siciliani selezionati per il progetto e lei è stata inserita nel gruppo di lavoro che fa capo alla ucraina Izolyatsia. Colleghi dell’artista catanese sono i videomaker Aleksieienko Bohdan e Sirous Oleksandr, entrambi di Kiev. «Durante i collegamenti online non sentivo i bombardamenti, ma i raid aerei sì», racconta La Placa. «Per loro, tuttavia, non è la prima volta, la guerra l’hanno già vissuta sulla loro pelle», spiega. «Nel 2014 erano stati sfrattati dai gruppi paramilitari filorussi dall’ex città industriale di Soledar che avevano recuperato e ristrutturato trasformandola in un luogo d’arte. Furono cacciati via con la forza, tutte le opere, le installazioni e le sculture, vennero distrutte e il luogo trasformato in una prigione».

Marina La Placa: «La salicornia diventa simbolo di resistenza anche dell’arte, dell’esigenza di non abbandonare l’arte anche in condizioni tragiche come quelle che vivono i miei colleghi ucraini»

I ragazzi di Izolyatsia si trasferirono in una miniera di sale abbandonata, sempre nel Donetsk, dalla quale sono dovuti fuggire nuovamente all’indomani della invasione russa. «Proprio da lì è però nata l’idea per il nostro progetto», spiega Marina La Placa. «Al centro c’è la pianta della salicornia, capace di crescere in condizioni saline. Molti esemplari di questa pianta circondano la zona di Soledar (“colei che dà il sale”, nda). Di fronte al paradosso di costruire la nostra performance site-specific senza un sito, ci siamo resi conto della necessità di adattare la nostra struttura per adattarsi a un ambiente così ostile, agendo esattamente come fa la pianta di Salicornia. Che diventa simbolo di resistenza anche dell’arte, dell’esigenza di non abbandonare l’arte anche in queste condizioni».

La pianta di Salicornia

Nonostante la guerra, i colleghi di lavoro ucraini dell’artista catanese hanno voluto continuare ad andare avanti. «È paradossale sentirli scusarsi per essere arrivati tardi alle riunioni online perché costretti a raggiungere le zone di sicurezza a causa dei bombardamenti», si meraviglia Marina La Placa, che almeno una volta al mese è in collegamento con i suoi amici ucraini. «Ma siamo liberi di sentirci quando vogliamo e, per dimostrazione di solidarietà, anche gli altri quattro gruppi sono in contatto con noi e ci aiutano. Abbiamo creato un gruppo messenger attraverso il quale condividiamo file, appunti, idee, materiali». Gran parte dei quali forniti dal direttore artistico Teardo. «Ci suggerisce libri da leggere, musiche da ascoltare, video da vedere. Che diventano fonti di ispirazione, contribuendo a un percorso di formazione che ci condurrà alla ricreazione di ambienti sonori. Abbiamo scoperto, ad esempio, che il canto degli uccelli viene riconosciuto dal traduttore automatico di Google e messo in parole. Questo, insieme alle coordinate lungo le quali suona il mio strumento, il theremin, farà parte di una parte testuale legata al linguaggio come simbolo di incomunicabilità».

Senza un sito specifico da raccontare, la performance sarà ambientata in un luogo immaginario: un “nowhere”. Che, nel progetto siculo-ucraino, assumerà il significato di “now+here”. «Ecco perché chiamiamo la nostra performance una performance specifica per il sale. Perché il sale dissolve tutto, anche la terra sotto i nostri piedi, … tranne noi».

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Laureato in Lettere moderne. Giornalista professionista. Ha collaborato con Ciao2001, Musica Jazz, Ultimo Buscadero, Il Diario di Siracusa. È stato direttore del bimestrale Raro! e caposervizio agli spettacoli al quotidiano "La Sicilia". Nel 2018 ha curato il libro "Perché Sanremo è (anche) Sicilia”. Nel 2020 ha scritto “Alfio Antico. Il dio tamburo” pubblicato da Arcana.

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