Una gemma preziosa, custodita all’interno del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, rivela tutto il fascino e l’antica sapienza della Sicilia rurale e contadina: è il giardino della Kolymbethra, un luogo in cui perdersi per ritrovare gli usi, le tradizioni e le varietà agricole tipiche della nostra terra. Furono in molti, con il passare dei secoli, a interessarsi della Kolymbethra, dallo storico Diodoro Siculo che descrisse l’opera idraulica costruita nel 480 a.C., sotto il tiranno Terone come “una grande vasca del perimetro di sette stadi, profonda venti braccia, dove sboccavano gli Acquedotti Feaci, vivaio di ricercata flora e abbondante fauna selvatica”, all’Abate di Saint Non, che nel 1778 in occasione del suo viaggio in Sicilia ai tempi del Grand Tour, rimase esterrefatto dalla bellezza di quella “piccola valle, che per la sua sorprendente fertilità, somiglia alla valle dell’Eden o ad un angolo della Terra promessa”. Eppure, la storia di questa autentica meraviglia siciliana è stata piuttosto travagliata e solo di recente ha conosciuto una straordinaria rinascita. Merito del FAI e di Giuseppe Lo Pilato, oggi presidente del Parco, che lo ha ricevuto, in maniera piuttosto peculiare, quasi in “eredità”.

UNA STORIA LUNGA 2500 ANNI. «Ricordo con grande emozione – afferma – il giorno in cui scoprii quel giardino e soprattutto lo sguardo insieme gioioso e disperato di “u zzì Ninu” quando mi disse: “u sapi duttù, iu ccà un ci guadagnu cchiù nenti pirchì st’aranci sunnu antichi e hannu l’ossa e ora a ‘ggenti voli chiddri ca sunnu senza ossa. Però, u sapi, iu nun ma sentu di abbannunalli pirchì avi quarant’anni ca sugnu ccà a ‘bbadarici e mi pari malu”. Andai via con la consapevolezza di avere ricevuto una straordinaria lezione di umanità e di civiltà». Proprio ad Antonino, ultimo contadino di svariate generazioni che, dal 1700 al 1987 si sono occupate dell’area, va attribuito il merito di aver preservato il fiorente splendore di quella valle, che nel V secolo a.C fungeva da riserva idrica della città greca di Akragas (non a caso rimangono tutt’ora visibili i cosiddetti Acquedotti Feaci, condotti idraulici ancora parzialmente attivi scavati nella calcarenite) e che venne successivamente trasformata nell’attuale giardino. Un giardino talmente splendido che il suo momentaneo abbandono apparì come un vero sacrilegio: «Quando tornai nell’area per motivi di lavoro, nel 1995, – continua il direttore – trovai un paesaggio in totale stato di desolazione e distruzione. «Percepii con grande dolore che davanti ai miei occhi c’era la fine di una storia durata secoli. Seppi poi che “u zzì Ninu” era andato in pensione e che nessuno si era sostituito a lui. Pensai che bisognasse fare qualcosa, ma in quel momento fu solo un impegno preso con me stesso». Quell’impegno, pronunciato sommessamente ma con grande convinzione, diventò realtà grazie al supporto della fondazione FAI che, attraverso una convenzione stipulata con la Regione Sicilia, ebbe in concessione il giardino della Kolymbethra, partecipando attivamente al suo recupero e alla sua rinascita, sancita nel novembre del 2001, quando il sito fu aperto al pubblico.

Il direttore Giuseppe Lo Pilato

UN PERCORSO SUGGESTIVO. Non appena ci si addentra all’interno della Kolymbethra, d’altra parte, si ha la sensazione di approdare in un luogo incantato. La valle, ubicata nell’area monumentale del parco, tra il tempio dei Dioscuri e quello di Vulcano, presenta una flora vastissima e pressoché unica nel suo genere: alla tipica vegetazione della macchia mediterranea con esemplari di palma nana, carrubbo, olivastro e terebinto, si alterna la vegetazione fluviale, ricca di pioppi, salici e canne, alimentata dall’acqua del torrente che scorre a fondovalle. Poi, sugli aridi pendii situati tra le pareti di tufo e il fondovalle, scorgiamo l’immancabile presenza degli olivi, dei mandorli e di rare piante di pistacchio. Ad arricchire il patrimonio del giardino, ci sono anche diversi fruttiferi che circondano il cuore della Kolymbethra, cioè il suo agrumeto, vasto oltre due ettari. «Di particolare valore – spiega Lo Pilato – è il patrimonio genetico dei suoi alberi, che testimoniano la lunga storia dell’agrumicoltura siciliana, la sola specie dell’arancio è qui rappresentata da ben dodici antiche varietà in gran parte non più coltivate altrove, insieme ai limoni, ai mandarini, ai mandaranci, ai cedri, ai pompelmi, al bergamotto e al chinotto». Insomma, dopo 20 anni di instancabili lavori e di nuovi e ferventi progetti, il giardino della Kolymbethra è tornato a splendere di una bellezza sempre più disarmante.

LA RICOSTRUZIONE DI ANTICHE MEMORIE. Fondamentale nel processo di restauro del Giardino della Kolymbethra è stata la formazione di un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da geologi, archeologi, architetti, geometri, agronomi, storici, zoologi, che furono affiancati e supportati dai preziosi ricordi di tutti gli anziani contadini e dei giardinieri che per ultimi avevano operato nella zona. «Da agronomo – commenta il direttore Lo Pilato – sono fiero di aver proseguito un lavoro iniziato tanto tempo fa. L’idea di fondo, concepita insieme al FAI, è stata quella di sviluppare un progetto di carattere culturale e paesaggistico, volto a conservare un pezzo di campagna antica. Ai bambini siciliani che ci vengono a trovare raccontiamo la storia delle nostre radici e di come vivevano i nostri avi». Alla dimensione culturale, si è affiancata poi anche quella produttiva, esito dei lunghi anni spesi per la cura e la tutela del giardino: durante il periodo del raccolto, da febbraio ad aprile, i frutti, così come le marmellate di agrumi, vengono venduti ai visitatori locali e addirittura spediti fino al nord Italia. Per il futuro, si pensa già al recupero delle case dei contadini attigue al giardino, da poco acquisite dal FAI per metterle al servizio di attività culturali e di accoglienza al pubblico. Mentre, entro il 2022, sarà possibile ammirare la collezione, curata dall’orto botanico di Palermo, sulle antiche varietà agricole coltivate da secoli nella valle agrigentina.

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