Le battaglie dimenticate di Accursio Miraglia: la sua memoria rivive tra gli spigoli di “Sicania”
Dipinti mozzafiato, percorsi immersivi e opere talmente affascinanti da innescare sintomi stendhaliani in chi guarda: è questo che si prova passeggiando lungo i corridoi della Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Qui è possibile ammirare diverse tele realizzate dai più celebri artisti meridionali (e non solo) tra la fine del Settecento e i primi del Novecento per un totale di 214 opere, tutte strategicamente disposte in corridoi in cui si intrecciano in modo sincretico le diverse forme culturali – di cui, peraltro, la stessa Palermo è rappresentata. Ed è proprio percorrendo quest’itinerario visivo che si entra in contatto con un’opera tanto singolare quanto emblematica. Il riferimento è a Sicania di Pietro Consagra, una delle poche sculture ospitate dal GAM, nonché l’unica esposta nel cortile interno che collega la stanza dedicata ai paesaggi ottocenteschi del Lojacono (piano terra) con quella riservata ai temi di denuncia sociale del Realismo Siciliano (primo piano). Si tratta di una tappa obbligatoria, necessaria se si vuole vivere appieno quest’ esperienza visiva. Un tassello indispensabile per essere introdotti al prossimo livello, per capire adeguatamente il senso politico della pittura Verista che celebra gli umili lavoratori ed incrimina la condizione di miseria in cui vivevano.
STORIA DI CHI DICE NO. Anche Sicania si fa portavoce di simili temi denunciando non per mezzo delle immagini (come invece fanno le chiare tele Realiste) ma tramite le ideologie nascoste dai rigidi contorni astratti della scultura. I suoi connotati artistici, infatti, – si tratta di una statua bronzea alta più di due metri, dalla forma spigolosa simile quasi ad una croce scomposta – emergono in un secondo momento lasciando spazio a quello che si rivela essere il suo vero contenuto: il messaggio politico, esplicitato dall’autore già a partire dal sottotitolo Monumento al sindacalista siciliano in riferimentoad Accursio Miraglia. Quest’ultimo fu uno dei sindacalisti più attivi del nostro paese: da progressista ed antifascista qual era, ebbe il merito di aver creato la prima Camera del Lavoro siciliana proprio a Sciacca, suo paese natio. Qui mise a frutto quello spirito comunitario e applicò quei principi riguardanti i diritti dei lavoratori maturati nel contesto milanese (dove peraltro aveva intrapreso una carriera in banca, durata poco proprio a causa delle sue idee politiche). Infatti, nel capoluogo lombardo entrò in contatto con parecchi filosofi dai quali apprese il pensiero di Bakunin, pensiero interiorizzato talmente tanto da spingerlo ad iscriversi al gruppo anarchico di Porta Ticinese. Furono questi eventi che lo indussero ad intraprendere un’attività politico-sociale – al fianco della classe operaia prima e dei contadini meridionali poi – e a fondare la cooperativa La Madre Terra che chiedeva l’attuazione delle leggi Gullo-Segni a beneficio dei mezzadri. Si preoccupò persino dei diritti di sindacati e sindacalisti che non godevano di grossa protezione (visto il clima dittatoriale e autoritario in cui l’Italia versava) e tal proposito diede vita al Comitato Antifascista di Sambuca di Sicilia. Come si può ben immaginare, questi interventi non furono benaccetti da parte dei latifondisti che, tramite l’aiuto della neonata mafia locale, traevano profitto sfruttando le masse ignoranti di braccianti agricoli. Miraglia conosceva bene le potenziali conseguenze del suo operato e, nonostante tutto, decise di non indietreggiare firmando di fatto la sua condanna a morte: fu ucciso la notte del 4 gennaio del 1947 a casa sua, sotto gli occhi della famiglia.
LOTTE NEL SILENZIO. Il tragico epilogo toccato ad Accursio Miraglia non è stato l’unico che l’Italia ricorda e, anzi, si tratta di una storia ripetutasi fin troppe volte. Il copione è sempre lo stesso: uno o più sindacalisti (spesso di estrazione socialista o comunista) cercano di far valere i diritti dei contadini meridionali, si coalizzano con loro e organizzano scioperi fino ad attirare l’attenzione della mafia locale che risolve il “problema” mettendoli a tacere definitivamente. A tal proposito, la FLAI CGIL nel 2022 ha dichiarato che sono stati più di 70 i sindacalisti uccisi per mano mafiosa, di cui 53 assassinati tra i primi degli anni ‘40 e la metà degli anni ‘60 nel Sud Italia (specifica un altro documento reso pubblico dalla CGIL Lombardia). Sono molti i nomi presenti su questa lista, alcuni quasi sconosciuti altri invece un po’ più noti come quello di Salvatore Carnevale. A quest’ultimo, in particolare, sono dedicate alcune pagine in Le parole sono pietre di Carlo Levi e il film del ‘62 Un uomo da bruciare, interpretato da Gian Maria Volontè; mentre la sua vicenda giudiziaria vedrà coinvolti due futuri presidenti della Repubblica quali Sandro Pertini (al fianco di Francesca Serio, madre di Salvatore) e l’avvocato Giovanni Leone (allora nel collegio di difesa degli imputati). A queste figure ormai famose se ne sono accostate nel corso del tempo tante altre, tutte socialmente impegnate anche se poco ricordate. Si tratta di cittadini e cittadine che hanno pagato a caro prezzo il desiderio di una vita dignitosa, lottando contro una forma d’oppressione dai mille volti – fascismo, latifondismo, mafia e ancora povertà, sfruttamento, precariato. Si tratta di volti ormai dimenticati eppure implicitamente celebrati da quelle bronzee forme astratte che compongono Sicania.