Stracci, taniche di benzina, briciole di pane. E poi tanti uomini, donne e bambini, molti dei quali indesiderati perché nati da violenze. È questo lo spettacolo che si schiera davanti agli occhi dei fumettisti Lelio Bonaccorso e Marco Rizzo quando a bordo della nave Aquarius prendono parte al loro primo salvataggio in mare. «Il progetto – racconta Lelio Bonaccorso, ospite del workshop internazionale di giornalismo organizzato da Sicilian Post – è nato in maniera strana. Una mattina mentre ero a Messina mi chiama Marco per dirmi che da lì a qualche giorno ci saremmo dovuti imbarcare su una nave di salvataggio per realizzare un reportage fumettistico. L’idea gli era nata durante una cena con Tito Faraci, ma dato l’argomento, non credeva possibile che il curatore di Feltrinelli Comics avrebbe accettato con così grande facilità». E invece nel 2018 nasce “Salvezza” con il solo obiettivo di restituire una narrazione reale e scevra da pregiudizi la questione dei flussi migratori. «Spesso quest’argomento è stato oggetto di opinioni preconfezionate e politicizzate – spiega il disegnatore messinese sollecitato dal giornalista Joshua Nicolosi, che ha moderato l’incontro –. Con “Salvezza” abbiamo voluto restituire voce agli uomini soccorsi e ai soccorritori, per rispondere alle tante domande che la gente comune si pone sulla questione».

Lelio Bonaccorso durante il panel

GIORNALISMO PURO. In un’epoca in cui si è sempre meno disposti a dedicare del tempo alla lettura dei giornali e l’opinione pubblica si costruisce partendo da slogan propagandistici, il graphic journalism – con la sua immediatezza – riesce ad arrivare in maniera semplice e diretta al lettore. «Tramite il fumetto – evidenzia Marco Grasso, coordinatore dell’area mostre di EtnaComics e ospite dell’incontro – si veicola un’informazione che oserei definire pura, dove c’è poca faziosità e tanta voglia di ricerca». Sempre più circondati dall’infodemia e dalle fake news, il giornalismo a fumetti non solo restituisce dignità al medium, che ormai da decenni si è smarcato dalle sole finalità ludiche e d’intrattenimento, ma costituisce una risorsa importante per il giornalismo tradizionale spesso assoggettato a notizie di seconda mano o a lanci d’agenzia. «Per “Salvezza” Lelio Bonaccorso e Marco Rizzo – aggiunge Grasso – sono andati alla ricerca della verità riuscendo laddove altri giornalisti hanno fallito». Inoltre come per il giornalismo della carta stampata, negli anni anche il graphic journalism ha potuto contare su autori di spicco. Basti pensare all’irriverente Zerocalcare che in “Kobane Calling” racconta del suo viaggio fra la Turchia e la Siria o Paolo Castaldi, e che nel 2011 firma “Etenesh, l’odissea di una migrante”, la storia di una ragazza etiope che impiega due anni prima di sbarcare sulle coste del Mediterraneo. Sempre più spesso, dunque, si ricorre al fumetto per raccontare storie di vita vissute che possano emozionare e coinvolgere il lettore.

SE QUESTO È UN UOMO. «Sull’Aquarius – aggiunge Bonaccorso – c’erano anche altri giornalisti che riprendevano gli sbarchi con le telecamere. Molti dei naufraghi però distoglievano lo sguardo temendo di essere riconosciuti dal governo e che le famiglie rimaste indietro potessero subire ritorsioni. Con il solo blocco da disegno in mano, Marco ed io, siamo riusciti a conquistare la loro fiducia venendo a conoscenza di molti dettagli come i nomi e i numeri di telefono di molti trafficanti, finendo per scoprire che il costo del biglietto di solito si paga con un bonifico. Mi vengo allora in mente le parole di Falcone e mi chiedo, se in fondo non sia sufficiente risalire a questi flussi milionari per identificare gli scafisti e bloccare tutto». Una grande opportunità per dare un nuovo impulso alla lotta contro i trafficanti di esseri umani. «Le torture sono indicibili: molti spariscono a causa del traffico d’organi – aggiunge il fumettista – ad alcuni tentano di sbiancare la pelle strappandogliela, ad altri sciolgono la plastica sulla schiena, per non parlare delle ferite e dei tagli che gli vengono inferti, solo per estorcere denaro alle famiglie. Nel riportare le storie non ci siamo voluti soffermare molto sugli aspetti più scabrosi anche perché rivolgendoci a un pubblico di lettori giovani, abbiamo voluto risparmiare loro i dettagli più crudi ma è stata un’esperienza forte che purtroppo il fumetto restituisce solo in parte». Un lavoro d’inchiesta realizzato in poco più di quattro mesi che li ha portati ad assistere a quasi cinque soccorsi, durante i quali sono state salvate più di mille persone, e che allo stesso tempo gli ha fatto toccare con mano la violenza della marina libica.

SEQUEL. La grande risonanza mediatica di “Salvezza”, pubblicato mentre la coalizione Lega-5Stelle guidava il governo, ha gettato le basi l’anno dopo per la realizzazione della graphic novel “…a casa nostra: Cronaca di Riace”, la quale però non ha avuto lo stesso risalto. «Forse perché nel frattempo – osserva – la situazione politica si era modificata e con il governo Conte bis, vissuto come accogliente e umanitario, si è parlato sempre meno di questo argomento sebbene la gente continuasse a stare male e a morire in mare». Anche in questa seconda occasione i due fumettisti si mettono in viaggio alla ricerca di dati e storie da cui partire per il loro lavoro. «Siamo andati nella cittadina calabrese di Riace, dove abbiamo intervistato l’ex sindaco Lucano – dice Bonaccorso – poi a Gioiosa Ionica nella quale sono presenti valide realtà d’integrazioni, per finire con San Ferdinando che rappresenta il rovescio della medaglia. Qui oltre a una tendopoli ministeriale in cui la gente vive in condizioni disumane, si trova anche un accampamento abusivo. Un buco nero privo di servizi igienici e reti fognarie composto da capanne di lamiera e plastica trovata in giro, dove è sufficiente una scintilla per morire bruciati. In questo limbo stazionano i migranti a cui è scaduto il permesso di soggiorno che non hanno i soldi necessari per tornare a casa». Una terra di confine nella quale la ‘ndrangheta rintraccia forza lavoro a basso costo da impiegare nel settore agricolo o nello spaccio. «Il clima in queste zone è teso – evidenzia ancora – perché queste persone sono abbandonate a sé stesse, nel disinteresse generale della politica e delle istituzioni. Quando finalmente, grazie all’intervento dei sindacalisti, siamo riusciti a entrare, non potendo fare foto, ho iniziato a disegnare. E così pian piano qualcuno si avvicinava e inizia a raccontare la sua storia. Ricordo di questo pescatore costretto a lasciare la Costa D’avorio dove i francesi, gli italiani e i tedeschi controllavano gli stabilimenti petroliferi. A un certo punto mi dice: “sono dovuto venire in Europa per cercare lavoro ma in Italia mi trattano in maniera razzista. Allora io me ne vado a casa mia ma voi dovete fare lo stesso». Solo toccando da vicino questi temi, si può sperare di trasmettere ai lettori una conoscenza che può diventare consapevolezza. «Come dice un vecchio proverbio sufi – chiosa il disegnatore – la ricetta giusta per la felicità è fare quello che è piacevole per noi e utile per gli altri.  Solo così si possono cambiare davvero le cose».

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