Lo spettacolo, “Farinelli e il re”, che andrà in scena sabato 4 al Palazzo degli Elefanti a Catania, è la vera storia del re di Spagna “salvato” dalla cultura

È un testo inedito quello che sabato 4 novembre verrà presentato per la prima volta al pubblico italiano attraverso un reading concerto al salone Bellini del Palazzo degli Elefanti. Si chiama “Farinelli e il re” il testo di Claire Van Campen tradotto da Monica Capuani e messo in scena dal regista Fabio Grossi, che tra una prova e l’altra racconta a Sicilian post l’idea e il lavoro che stanno dietro lo spettacolo di sabato, prodotto dal teatro Stabile di Catania. «Lo spettacolo – spiega il regista – nasce perché qualche tempo fa mi è capitato di vederlo in un teatro di Londra. Da subito partita l’idea di coinvolgere Leo Gullotta per fargli vestire i panni del protagonista. Credo che il profilo del protagonista sia molto aderente alle sue corde. Altrettanto azzeccata è la location che abbiamo scelto, un ambiente sontuoso che richiama in qualche modo la reggia di Filippo V, vissuto a cavallo tra XVII e XVIII secolo».

Quello scritto da Claire Van Campen è un personaggio molto particolare. Difficilmente, anche raccontandolo sul palco, si riesce a darne un’idea completa, perché tocca le corde del drammatico, del comico, del brillante. «Non mettiamo in scena un re, ma un messaggio che ho personalmente sposato a trecentosessanta gradi: l’arte vivifica, ovvero con la cultura si vive, senza la cultura non si vive».

L’azione ruota attorno alla storia vera del re Filippo V di Spagna, che cadendo in depressione e chiudendosi sempre più in se stesso disattende tutti gli impegni dello Stato, destando la preoccupazione della corte e della regina Isabella Farnese. Finché proprio a quest’ultima viene in mente di invitare a corte quello che in tutta Europa è considerato una stella fulgida: il celebre castrato sopranista Farinelli. «Il rapporto che nasce tra il cantante lirico e il re – spiega Fabio Grossi – è così forte da far uscire il re dall’impasse fisico e da spingere Farinelli, una volta compiuta la missione, a trascorrere il resto della sua vita in un bosco vicino Bologna».

Il punto è, sottolinea il regista, che l’uomo di potere riesce a esercitare quest’ultimo anche grazie alla cultura, mentre un popolo senza cultura non si può definir tale. Richiamare l’attenzione del pubblico su questo aspetto diventa necessario. «Viviamo in un’epoca dove apparire conta più di essere e tornare a sottolineare il discorso culturale, invece di dire che con la cultura non si mangia, è necessario. La cultura attira ancora gran parte dei cittadini, bisogna solo crederci e dare la certezza che con la cultura un popolo cresce».

«Il grande pregio del testo della scrittrice Claire van Kampen è quello di aver congegnato un espediente scenico di grande efficacia, la presenza in scena di due interpreti nel ruolo di Farinelli» – sottolinea Grossi. Il cantante da una parte, l’attore dall’altra, che interpretati nella versione italiana rispettivamente dal sopranista Francesco di Vito e da Mauro Racanati lavorano a specchio sulla stessa figura, «per dare il massimo dell’espressione al personaggio».

Ad affiancare il re Leo Gullotta quattro giovani attori, ex allievi della scuola Umberto Spadaro del teatro stabile di Catania, Lucia Fossi, Federico Fiorenza, Luca Iacono e Valerio Santi. Il maestro Luca Ambrosio dirigerà anche gli allievi dell’Istituto Musicale Vincenzo Bellini di Catania. Mimmo Verdesca, invece, è assistente e supporto del regista Grossi, che prima di rimettersi all’opera rivolge un invito ai catanesi. «Sta a noi essere i primi protagonisti della realtà e del fermento culturale. L’Italia, da sempre, è stata considerata insieme alla Grecia la culla della cultura classica, dei poeti, degli scopritori e dei conoscitori e dobbiamo tornare ad avere questo ruolo importante, riprendendo i giovani, portandoli a teatro e facendoli entrare nella logica che il teatro, il cinema, la danza o l’opera lirica portano conoscenza e la conoscenza porta a riqualificare il proprio stile di vita».

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