Il suo patrimonio di fotografie, scoperto per caso dalla figlia, ha immortalato alcune tra le più grandi celebrità degli anni ’50 e ’60, italiane e non, da Hitchcock a Mastroianni. Poi l’avvento dei paparazzi e dello scatto come scoop. Ebbe il coraggio di dire no a quel nuovo mercato, alla notorietà e al denaro. Per amore della vera fotografia

Quando si dice benedetti sci. Sì, perché se una giovane donna di nome Silvia Di Paolo, un pomeriggio di alcuni anni fa, non si fosse messa a rovistare nella cantina del padre alla ricerca di un paio di sci, non si sarebbe mai imbattuta in un archivio di 250mila fotografie degli anni ’50 e ’60 scattate dal padre Paolo. Tra gli scatti, a parte foto di famiglia, vi erano ritratti di Marcello Mastroianni, Anna Magnani, Pierpaolo Pasolini, Alfred Hitchcock, Giorgio de Chirico, Charlotte Rampling e molti altri personaggi famosi di quegli anni: poeti, intellettuali, scrittori e stelle del cinema. Interrogato sulla provenienza di quelle incredibili fotografie, il padre Paolo, ha dovuto ammettere di averle scattate lui stesso a partire dal 1954 e fino 1966, l’anno in cui decise di appendere al chiodo la macchina fotografica per il resto della vita.

Silvia ha impiegato ben vent’anni per convincere suo padre ad esporre 250 di queste foto in una mostra:  foto intime, delicate e sorprendentemente fresche, leggere, o per utilizzare un termine utilizzato dalla curatrice dell’evento, Giovanna Calvenzi, “ridenti”, ritraggono con uno sguardo sempre rispettoso e amorevole i personaggi più importanti di quegli anni, ma anche gente comune, paesaggi italiani, luoghi lontani, momenti della realtà catturati trasformati in disegni di luce in grado di trasmettere emozioni raffinate, penetranti e sottili.

Nato nel 1925 a Larino, in Molise, Paolo Di Paolo si trasferisce a Roma per studiare Filosofia. Si avvicina alla fotografia “per diletto” (è un dettaglio a cui tiene molto, “eravamo dei dilettanti”, ama ripetere). Compra a rate una Leica IIIC e inizia a scattare fotografie. Frequenta con assiduità l’ambiente artistico romano. Un’amica pittrice gli consiglia di proporre le sue foto al settimanale “Il Mondo”, fondato e diretto da Mario Pannunzio, che rifiutava le immagini “troppo belle”,  accettava soltanto quelle buone. Paolo rimane folgorato dalla libertà che Pannunzio lasciava ai fotografi che collaboravano per “Il Mondo”. Non dava incarichi ai fotografi, ma nella libertà delle proposte visive che riceveva, il giornale seguiva e realizzava una propria linea narrativa. I fotografi erano quindi stimolati a cercare storie, volti, situazioni che siano in sintonia con la “filosofia” del giornale.

La foto che qui viene proposta, come tante altre, commuove l’osservatore per il nudo realismo che esprime. E’ un’immagine struggente. Tutti e tre i soggetti non hanno scarpe, come se non potessero andare da nessuna parte. Loro sono pronti ad andare, ma il mare non permette di andare oltre. Eppure lo sguardo è fisso forse verso una nave che può salvarli.  Sembra un tema di un “mondo perduto”, come la collezione di cui fa parte lo scatto, mentre invece è un tema attualissimo, l’uomo di ogni tempo e di ogni colore è sempre alla ricerca della vera dimora.

Dopo la chiusura de “Il Mondo” e dopo 14 anni di assidua collaborazione, Di Paolo si dirige a Milano in cerca di lavoro. Ormai è un fotografo conosciuto, potrebbe lavorare dovunque,  ma sono gli anni dell’invasione dei paparazzi, il lavoro del fotografo è cambiato: non più fotografie che emozionano per la cruda realtà che esprimono, ma reportage commissionati per fare degli scoop. Improvvisamente Di Paolo non si è più sentito in sintonia con la società che si andava formando. «Ho chiuso quelle porte e non sono più tornato», dichiara fiero.

Alla chiusura della rivista per cui aveva sempre lavorato, mandò a Pannunzio un telegramma che diceva: «Per me e per gli altri, muore oggi l’ambizione di essere fotografi. Ho smesso di fotografare per amore della fotografia. Eravamo un gruppo, non sapevamo niente, ma eravamo ambiziosi e presuntuosi, volevamo superare perfino Cartier-Bresson. L’immagine ci aveva attratto con la sua forza, eravamo ipnotizzati dal suo potere, ci interessava esplorarne i confini e le possibilità». Quando le riviste hanno smesso di pubblicare vere fotografie, Di Paolo ha smesso di fotografare. Nel 1970 il suo lavoro divenne un altro: progettare e curare libri e calendari per l’Arma dei Carabinieri.

In onore di questo immenso patrimonio è aperta fino a Settembre a Roma una mostra al Museo nazionale delle arti del XXI secolo dedicata a Paolo di Paolo che da poco ha festeggiato i 94 anni. Adesso tutti possono apprezzare gli scatti di un “fotografo dilettante” e avere l’opportunità di condividere una documentazione che conserva il fascino del ricordo personale di un album di famiglia, scoperto per caso cercando un paio di sci.

 

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